Il vino varesino segua l’esempio del Canton Ticino

Dieci anni fa il vino dei ronchi varesini ottenne l'Igt. La Cascina Piano di Angera è tra i protagonisti di questa rinascita

vino dei ronchi varesini

È ancora una nicchia e come tutte le nicchie ha numeri piuttosto contenuti, ma il vino dei ronchi varesini a dieci anni dal riconoscimento Igt (Indicazione geografia tipica, leggi il disciplinare) continua il suo percorso di crescita. Non è un’impresa semplice perché l’agricoltura in provincia di Varese è marginale rispetto all’industria, ma da una parte una tradizione mai dimenticata e dall’altra la passione di alcuni agricoltori, determinati nel rilanciare la produzione vitivinicola, potrebbero farla decollare definitivamente.

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C’è anche un terzo elemento che potrebbe giocare un ruolo positivo ed è proprio la marginalità di quella cultura, caratteristica tutt’altro che negativa come insegnano i ricercatori del dipartimento di economia sostenibile della Liuc del professor Dipak Pant. L’esempio è proprio dietro l’angolo, nel Canton Ticino, dove in tutti gli otto distretti da Bellinzona a Mendrisio si coltiva la vite per un totale di 1.020 ettari e la produzione di vino, in particolare Merlot, è diventata un capitolo significativo dell’economia locale. A Mendrisio esiste dal 1949 una cantina sociale che copre il 15% della produzione cantonale, con tanto di enoteca interna. Un successo in termini di prodotti testimoniato anche dalle esportazioni arrivate fino a Dubai.

I viticoltori ticinesi sono circa 4mila, per lo più persone che lo fanno per hobby e con modesti appezzamenti di terreno, ma nel tempo sono nate una trentina di piccole cantine e una decina di grandi produttori che possono contare su discrete tenute dove si coltivano vigneti ad alta intensità d’impianto per facilitare l’utilizzo di mezzi meccanici e quindi abbattere i costi di produzione. Una tradizione rinnovata dai viticultori e sostenuta dalla domanda interna.

«Quando gli svizzeri hanno iniziato – spiega Luca Maffioli, ricercatore del dipartimento di economia sostenibile della Liuc – molti al di qua del confine sorridevano perché pensavano fosse un’impresa impossibile. Invece i ticinesi hanno dato al loro territorio un orientamento strategico e sviluppato tutte le capacità per andare in quella direzione. Ecco perché il loro distretto del vino funziona bene».

In provincia di Varese uno degli artefici principali della rinascita della vitivinicoltura è Franco Berrini. Dai filari della sua Cascina Piano ad Angera è partito il movimento che ha poi condotto al riconoscimento Igt del vino dei ronchi varesini, ottenuto l’11 ottobre del 2005. «Questa era la terra di mio nonno e di mio padre – racconta Berrini – e da qui lo sguardo fino alla Rocca un tempo incontrava solo vigneti. Noi cerchiamo di non perdere quella tradizione che ha prodotto tanta bellezza».

Sui terrazzamenti – i cosiddetti ronchi – della cascina, battuti dalla brezza del Maggiore e riscaldati dal sole estivo, maturano uve rosse tra cui nebbiolo, barbera, vespolina, bussanelllo, croatina, uva rara, merlot e anche qualche vitigno a bacca bianca, come trebbiano, chardonnay e malvasia aromatica. I tre ettari di terra coltivati a vite da Berrini producono circa 22 mila bottiglie. «Noi non coltiviamo per fare volumi – spiega il viticultore – ma per riportare la cultura del vino che in questa terra aveva radici antichissime».

I vini prodotti dalla Cascina Piano hanno nomi che riprendono la tradizione territoriale: Sebuino (antico nome del borgo di Angera), San Quirico, un colle sul confine tra Angera e Ranco, Verboso Rosso che ha la stessa radice di Verbano ed si rifà anche a un’antica storiella che parla delle genti chiacchierone. «Le bottiglie non servono solo a contenere il vino – conclude Berrini – ma devono raccontare una storia, perché qui non s’inventa nulla ma tutto si trasforma grazie a qualcosa che esisteva già».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

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Pubblicato il 13 Agosto 2015
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