La difficile vita del cacciatore di Cinghiali

Da sportivi "cattivi" a difensori dell'equilibrio ambientale. Unatrasformazione radicale, che però non è supportata dai numeri. Riusciranno a salvarci dal lupo, e dai danni degli ungulati in crescita?

Varie

Fare il cacciatore, di questi tempi, non è affatto facile: è non tanto una questione di avversione da parte degli ambientalisti, o difficoltà a mantenere una costosa passione. La verità è che negli ultimi anni il cacciatore, da appassionato sportivo di uno sport “crudele”, è diventato un difensore dell’equilibrio biologico e, diciamola tutta, anche un volontario suo malgrado al fianco delle istituzioni, in mancanza di forze pubbliche.

Quest’anno i cinghiali che i cacciatori varesini sono tenuti ad abbattere sono circa 1500, su 300o che ragionevolmente sono in circolazione. Se non lo faranno, o non lo faranno a sufficienza, la popolazione di questo animale rischia di triplicare (le femmine possono partorire fino a due volte l’anno, anche 5 cuccioli).

Cacciare un cinghiale non è, comprensibilmente, come cacciare una lepre o un fagiano: è un animale più grosso, più pericoloso e meno trasportabile se catturato. Inoltre, una volta preso, non può essere portato a casa senza censirlo: deve essere portato in uno dei due macelli dedicati, a Luino o Besano, che provvederà innanzitutto a fare i controlli sanitari per il capo, che potrebbe essere portatore di parassiti che pososno passare attraverso gli insaccati. Senza contare che il cinghiale, che si muove soprattutto di notte, può essere cacciato solo nelle ore in cui è consentita la caccia: cioè di giorno. Un ulteriore handicap che rende ancora più complesso arrivare a una “conclusione efficiente”.

Non parliamo poi dei costi da affrontare:ogni anno circa seicento euro «163 euro di tassa governativa. 64 di regionale – fanno i conti Silvio Tomasini, presidente dell’ambito 2, e Lino passalaqua, presidente del comprensorio Alpino Nord Verbano- Poi c’è l’assicurazione obbligatoria da 80 euro, 100-150 euro di associazione all’Ambito, 100 euro di quota per poter abbattere le specie specifiche…» per non parlare dei costi dei corsi per la licenza, o per l’attrezzatura.

Arrivare al cinghiale con la polenta “faidate” costa parecchia fatica dunque, anche fisica per di più: e se si tiene conto che il 59% dei 3000 cacciatori varesini con la licenza è in una fascia di età che va dai 60 agli 80 anni (dati Federcaccia Varese) “l’esercito di protettori dell’equilibrio faunistico” rischia di essere un po’ spuntato.

«Purtroppo, non c’è più lo stesso interesse per la caccia che c’era un tempo: solo il 9% dei tesserati ha meno di 40 anni» spiega il presidente di Federcaccia Varese Dario Carcano «Mentre la caccia ha preso un valore, anche ecologico, che non aveva prima. Diventare cacciatore prevede l’acquisizione di un’etica della caccia e una conoscenza profonda della naturain cui si caccia».

E’ affidata a questa compagine (Peraltro di 700 cacciatori su 3000 totali: per cacciare i cinghiali bisogna avere una formazione specifica e una licenza ad hoc) la difesa dei territori. Una compagine che si assottiglia e a cui vengono consegnati impegni sempre più grandi: come quello, per esempio, di “fare il lupo“: «Il cacciatore, in un contesto in cui manca l’antagonista, che in questo caso è il lupo, predatore del cinghiale, è chiamato a svolgere questo ruolo per “rimettere in ordine” la situazione naturale» spiega Danilo Baratelli, storico funzionario della sezione caccia della provincia «L’alternativa è il ritorno del lupo. E già in questi anni, ne abbiamo visto un paio di segni, in due punti opposti della provincia: tre anni fa abbiamo trovato un esemplare – anche se morto –  a Somma Lombardo, due anni fa è successo lo stesso a pochi passi dal valico di Zenna».

 

 

 

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 08 Settembre 2015
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