Il giornalismo celebra il suo declino nei salotti della TV

Un impietoso ritratto della stampa attuale da parte di Franz Foti, docente di giornalismo e comunicazione all'Università dell'Insubria

barca giornale prima

Pubblichiamo l’intervento di Franz Foti, Docente di giornalismo e comunicazione all’Università dell’Insubria di Varese, postato su l’Huffinghton post

I fasti del giornalismo della seconda metà del ‘900 son ormai reperti d’archivio. In quell’epoca il giornalismo accompagnò i mutamenti politici e culturali del Paese, diffuse la conoscenza, stimolò i processi di ammodernamento produttivo, contribuì all’affermazione e allo sviluppo della democrazia. Il suo posizionamento divenne chiaro e netto con la legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti. Era il 1963. Le sue funzioni vennero espresse in quella legge ed erano scolpite da quattro principi inderogabili: attenersi alla verità dei fatti; rispettare la dignità delle persone; mantenere il criterio del pluralismo; osservare l’inviolabilità della propria autonomia. Di questi principi rimangono solo le ceneri.

La società era divisa il due tronconi conflittuali e semplificatori, liberal conservatori di centro destra da una parte e social comunisti dall’altra cui si affiancava un forte movimento sindacale. Il parlamento era rappresentato da tutte le componenti sociali. Gli editori erano tali per vocazione e la pubblicità non condizionava i giornali. L’irruzione del partito-stato, la frammentazione della grande impresa e l’espansione del debito pubblico, accompagnato da estesa corruzione, sparigliarono i rapporti sociali, culturali e politici. Il vecchio mondo va in frantumi.

La visibilità era garantita da giornali e televisione. Consumismo e potere erano i fattori distintivi della società “moderna”. La spartizione dello spazio comunicativo, giornali e televisione, era finanziata dallo stato, garantita da leggi e regolamenti, condivisa dalle parti politiche. Ormai il giornalismo era asservito al potere politico e industriale. I giornali divennero terreno di caccia dell’imprenditoria. I giornalisti da cani da guardia del potere, si trasformarono in professionisti controllati dal potere e dall’audience portatrice di commesse pubblicitarie. Crisi e precarietà hanno poi fatto il resto.

Il berlusconismo, la supremazia del consumo e la demolizione dei valori culturali ed etici divennero parte preponderante del pensiero minimo o del non pensiero.

“No brain, no pain”, niente pensiero, niente pena. Il giornalismo ha rincorso la politica mediocre nel suo percorso di autolesionismo ispirandosi al consumato giochino del “bad news good news” (brutte notizie buone notizie). La rivoluzione del web ha poi lacerato l’affidabilità del giornalismo con il popolo dei “ciarlatani”. Tutti si ritengono giornalisti e pochissimi sono tali. Politica e giornalismo affondano insieme.

Ora il giornalismo deve riprendere posizionamento professionale, etico, culturale e sociale, cominciando a mandare alla deriva un Ordine che, così com’è, si presenta inutile, dannoso e poco rappresentativo della categoria. Lo tengono in piedi ancora Grecia, Portogallo e Cipro. È anche il caso di chiudere l’epoca dei talk show ammuffiti e autoreferenziali, palcoscenici tristi, ripetitivi e noiosi per conduttori che ritengono d’essere potenti influenzatori sociali e politici.

L’incoronazione, artificio giornalistico che offre visibilità esagerata e immeritata a soggetti inutili, sempre uguali a se stessi, serve solo a coprire vuoto di pensiero di autori e conduttori che mistificano la realtà. Ha ragione Ugo Tramballi, giornalista, quando denuncia che molti ti fanno “credere che la notizia siano loro che vi raccontano la notizia, e non la notizia che loro devono raccontare” . In questi palcoscenici il giornalismo consuma se stesso.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 02 Novembre 2015
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