Il caso Lidia Macchi in sintesi

Tutti gli elementi che hanno portato all'arresto di Stefano Binda: la procura di Milano lo accusa, lui si dichiara innocente

Lidia Macchi

A distanza di 29 anni dall’omicidio di Lidia Macchi, una sconvolgente svolta nelle indagini ha portato in carcere Stefano Binda, accusato di aver ucciso la giovane varesina.

L’arresto – Stefano Binda, 48 anni, viene arrestato dalla Polizia alle 6.30 del mattino nella casa di Brebbia dove vive con la madre, nell’appartamento sopra l’abitazione della sorella e del nipote. Binda vive da anni a Brebbia, aveva frequentato la stessa scuola di Lidia Macchi e frequentava l’ambiente di CL: dopo la laurea in filosofia e problemi di tossicodipendenza, era disoccupato. Qui l’articolo sull’arresto

L’incredulità del paese – vicini di casa e conoscenti sono stupiti dall’arresto: Binda ha sempre condotto una vita riservata, ma viene anche riconosciuto come una personalità interessante, con una certa statura intellettuale. Qui l’articolo sulle reazioni in paese

Le nuove indagini – L’indagine sull’omicidio del 1987, inizialmente a Varese, è stata presa in carico dalla Procura di Milano: nel 2014 la segnalazione di una donna porta a una svolta: la donna dice di aver riconosciuto la scrittura di Binda nella lettera anonima recapitata ai genitori di Lidia nel 1987 e ripubblicata dai giornali ai giorni nostri. Qui il testo della poesia contenuta nella lettera

La ricostruzione dell’omicidio e il movente – Stefano Binda, negli anni Ottanta, avrebbe avuto un certo ascendente tra i coetanei, ma doveva anche fare i conti con la tossicodipendenza. La ricostruzione della Procura – partendo da alcuni elementi – ipotizza che Lidia volesse aiutare Stefano e che per questo sia finita nel boschetto dietro l’ospedale di Cittiglio, dove consumò un rapporto sessuale con il presunto assassino (non si sa se consenziente o meno). La Procura sintetizza così il movente: “Ha paura che Lidia confessi quanto è successo alla sua famiglia, alle guide spirituali, agli amici. Allora perde la testa, estrae un coltello e colpisce Lidia al torace e al collo” Clicca qui per la ricostruzione completa dell’omicidio

L’abbandono della “pista Piccolomo” – nel 2014 si era indagato su Giuseppe Piccolomo, il muratore arrestato e condannato per il “delitto delle mani mozzate” di Cocquio Trevisago. La Procura ha abbandonato questo filone, l’ordinanza giudica infondata l’ipotesi.

La difesa – Binda professa la sua totale innocenza: nega di essere l’assassino, ma anche di aver scritto le lettere da cui prende le mosse la nuova indagine. Martedì comparirà davanti al Gip. Qui l’articolo

 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 16 Gennaio 2016
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