La nascita di un bambino è sempre una grande sfida

Le riflessioni del professor Fabio Ghezzi, primario della clinica ostetrica del Del Ponte, alla luce delle ultime morti per parto registrate in Italia. Un evento che, anche negli ospedali italiani, non è poi così eccezionale

terapia intensiva neonatale

Fine anno è tempo di bilanci anche per i punti nascita. Non dovrebbe essere un bilancio fatto solo sui numeri dei nati o sul nome dell’ultimo neonato venuto alla luce in questo o quell’ospedale.
La cronaca degli ultimi giorni dell’anno ha tragicamente riacceso i riflettori sul fatto che la sala parto non è solo il luogo felice che vede la vita venire alla luce ma è anche un luogo dove spesso ci si ritrova a gestire situazioni ad elevatissimo rischio clinico, urgenze imprevedibili e non sempre prevenibili, con esiti drammatici che troppo spesso vengono etichettati come malasanità dopo processi sommari fatti sulla carta stampata.

La sala parto dell’era moderna è un luogo dove si devono fermamente perseguire due volontà: da una parte quella di garantire  la sicurezza  per la mamma e il bambino, dall’altra quella rendere la cure il più umane possibili, nel rispetto della fisiologia di un evento – il parto – troppo spesso vissuto alla stregua di una malattia.

Nel punto nascita di Varese sono nati quest’anno 3130 bambini.  I numeri sono quelli di una grande sala parto, una tra le maggiori per numero di nati in tutta la Lombardia e la prima nella provincia. Come centro di III livello rappresenta un punto di riferimento sul territorio anche per le gravidanze “speciali” quelle considerate a maggior rischio di complicanze: non stupisce quindi che al Del Ponte nel 2015 ogni settimana siano nati mediamente 2 coppie di  gemelli e 5 bambini prematuri, di cui 1 fortemente prematuro, sotto le 30 settimane gestazionali. 

Queste gravidanze, che richiedono un’assistenza ultra-specialistica, spesso in equipe multidisciplinari, sono in continuo aumento tra le pazienti seguite al Del Ponte, a testimoniare una popolazione ostetrica in continuo mutamento: gravidanze frutto di procreazione assistita (in gran parte esito di procedure eseguite nello stesso centro), in donne di età sempre più avanzata, spesso con patologie croniche preesistenti la gravidanza che in passato sarebbero state scoraggiate a ricercare prole o in donne obese.   Il 40% delle pazienti che hanno partorito nel 2015 ha più di 35 anni e l’11% ne ha 40 o più.

Il 4% dei parti sono avvenuti in donne che avevano ottenuto la gravidanza con metodiche di procreazione assistita.

Tuttavia, lo sforzo costante è quello di mantenere insieme agli standard di appropriatezza e sicurezza che sono imprescindibili in un polo materno-infantile di riferimento, anche il rispetto della fisiologia nelle gravidanze a basso rischio, laddove è doveroso rispettare la naturalità dell’evento nascita.

A testimonianza di questo sta il fatto che il 94% delle donne che entrano in travaglio spontaneamente, a termine, partorisce il primo figlio per via vaginale e l’85% di queste partorisce senza che venga effettuata l’episiotomia. L’assistenza ostetrica è improntata a minimizzare interventi medici che non siano strettamente necessari,  rispettare i tempi fisiologici del travaglio, evitare accelerazioni farmacologiche improprie, favorire il parto vaginale nelle donne precedentemente sottoposte a taglio cesareo. Nel 2015 cento donne con un pregresso taglio cesareo hanno partorito per via vaginale.

Una grande sala parto non significa un “bambinificio” dove si è dei numeri da contare alla fine dell’anno: le statistiche dicono che le grandi sale parto sono quelle che offrono maggiori garanzie di sicurezza, minore ricorso ad interventi non necessari, e migliori esiti perinatali, ma il tutto senza dimenticarsi degli aspetti umani del “prendersi cura” oltre che del curare.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 02 Gennaio 2016
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