Larghi (Cisl): “Etichettare le persone non frenerà il cambiamento”

Intervista al segretario della Cisl dei Laghi: «Essere ciellino non c’entra nulla con la riorganizzazione del sindacato»

cisl dei laghi

Gerardo Larghi è come la Madonna, appare all’improvviso e mai per caso. Il segretario della Cisl dei Laghi che, dopo la fusione delle due organizzazioni, quella di Varese e quella di Como, era letteralmente scomparso dal territorio varesino, è dunque ritornato.

Comasco di nascita con ascendenti malnatesi, di madre francese e padre emigrante, Larghi sull’orlo dei 56 anni può vantare un solido passato di professore di lettere, un dottorato di ricerca in filologia romanza, diversi saggi sull’argomento e collaborazioni con l’università Cattolica di Milano e di Messina. È membro dell’Association internationale d’Études Occitanes e collabora costantemente con le riviste “Cultura Neolatina” e “Vox Romanica”. Ha da poco pubblicato, con Saverio Guida,  il “Dizionario biografico dei trovatori” e sul comodino, per la lettura serale, tiene un libro sulla formazione e la nascita dei comuni medievali scritto in tedesco.

Larghi, dove è stato in questi ultimi due anni?
«Fondere due organizzazioni con un sacco di iscritti, con categorie forti e radici culturali diverse e profonde richiede molto tempo ed energie. Due anni di silenzio sono serviti per lavorare sulla macchina interna e devo dire che stiamo facendo grandi passi in avanti, con grande fatica e tensione, perché la nostra scommessa non è la semplice somma di due territori».

Come è arrivato a fare il segretario della Cisl dei Laghi?
«Attraverso l’impegno nella categoria della scuola. Ho lavorato sia in quella privata che in quella pubblica, quindi ho avuto a che fare con le suore che mi dicevano che se non arrivavano studenti non c’erano soldi per gli stipendi, sia con i bidelli che passavano il tempo a misurare le piastrelle. Però ho lavorato fin da quando avevo sedici anni, nei campi e in fabbrica. Ho fatto anche il giornalista pubblicista per il “Corriere” di Como. La segreteria è il frutto del lavoro di una squadra che sette anni fa ha preso in mano la Cisl di Como, un’organizzazione solida, ben patrimonializzata e radici culturali profonde».

Perché a un certo punto avete deciso la fusione con la Cisl di Varese?
«Ci chiedevamo fino a quando saremmo durati , visti i cambiamenti in atto nella società: cambiavano i nostri iscritti, cambiavano i servizi, cambiava il lavoro. Eravamo consapevoli che non era una semplice transizione e quindi abbiamo deciso di fonderci con un altro territorio altrettanto importante, anche se molto diverso dal nostro».

In che cosa consiste questa diversità?
«Beh, la Cisl di Varese è più legata al mondo industriale. Como invece si contraddistingue per una maggiore unione tra le varie categorie. Abbiamo sempre cercato una contaminazione con la realtà, qualità che abbiamo portato anche nella fusione, basti pensare alla Fim, cioè i metalmeccanici, una vera avanguardia. Non è così usuale trovare tra i relatori di un direttivo due imprenditori».

Il suo mandato scadrà nel 2017. La sua “apparizione” a Varese è dettata anche dalla necessità di riequilibrare il rapporto con le categorie? L’appoggio esplicito che ha ricevuto dai vari segretari, dopo la polemica sulla firma dell’accordo sull’apprendistato con artigiani e commercianti, è un segnale che va in quella direzione?
«Nella Cisl non puoi fare scelte importanti senza l’apporto delle categorie che sono le vere protagoniste del cambiamento. Quell’endorsement è stato il riconoscimento del fatto che su un punto così importante noi come sindacato confederale ci siamo mossi bene e nei tempi giusti. Insomma, le categorie hanno condiviso la linea riformista, sempre nel rispetto dell’autonomia. È un equilibrio che va ricercato in tutto questo processo di riforma».

Lei è stato protagonista nel giro di pochi giorni di due uscite molto forti, quella sopracitata, e quella sulla riforma delle Camere di Commercio. In entrambi i casi né Cgil né Uil hanno gradito. Era necessario questo scatto in avanti?
«Se alla firma dell’accordo sull’apprendistato i due colleghi fossero stati presenti e avessero chiesto di rimandare quella firma, io non avrei avuto nessun problema a farlo. Non si intendeva escludere nessuno, anzi, abbiamo detto che è un’intesa sussidiaria e cedevole e sono felice di sapere che tra qualche giorno quell’accordo sarà superato da un altro firmato a livello regionale. Non mi sento scavalcato perché ciò che conta è dare una risposta agli imprenditori, ai giovani e alle loro famiglie. Quindi il mio problema è capire se i nostri tempi e i nostri riti sono decisivi o meno per la vita dei lavoratori. Sono convinto che abbiamo fatto bene, anche se potevamo fare molto meglio riuscendo a tener dentro tutti, coniugando velocità e unanimità. Varese su questo ha insegnato molto a Como perché qui si sono fatti una serie di accordi innovativi a livello nazionale».

E sulla Camera di Commercio. Non c’è alternativa all’abbattimento?
«Capisco che i lavoratori siano preoccupati di perdere il posto di lavoro. Li ho incontrati in assemblea e penso di averne convinto solo una parte. Il mio ragionamento è più articolato perché riguarda il livello di intermediazione tra lo Stato e il cittadino, inteso come cittadino/azienda. Negli ultimi due anni la politica ha ripreso un ruolo pesante e lo sta esercitando facendo delle scelte. In questo caso ha deciso di togliere tutta una serie di strumenti, tra cui le camere di commercio, che erano andati alla società non per scelta politica ma per inerzia, perché il vuoto si riempie. Oggi lo stato non sta togliendo una sussidiarietà, che non c’è mai stata, ma toglie quelle cose che ci siamo presi perché lo stato era debole. La sussidiarietà è una cosa totalmente diversa e per costruirla dobbiamo chiederci se tra le imprese, i lavoratori e lo Stato puo’ esistere solo il modello della Camera di Commercio o se invece ne esistono altri. Farsi questa domanda, non significa né essere eretici né dover bruciare i lavoratori, significa invece porre un problema politico».

Che cosa ha pensato quando Stefano Malerba, uno dei candidati sindaci del centrodestra, ha dichiarato pubblicamente che sulla cancellazione delle camere di commercio era d’accordo con lei? Lo conosceva prima di quella dichiarazione?
«Mi ha fatto piacere, perché mi ha fatto sentire meno solo su questa posizione. Non lo conosco personalmente e mi piacerebbe scambiare qualche riflessione con lui, visto che è anche un imprenditore. Lo cercherò, così come gli altri candidati, per confrontarmi».

Lei è ciellino?
«Certo e vorrei esserlo nel modo migliore. E mi dispiace sapere che le mie azioni finiscono per ricadere su cose molto più serie. Ma essere ciellino non c’entra nulla con tutto il discorso fatto. Sono stato negli scout fino a 20 anni, i miei figli sono scout, mia madre era del movimento dei focolarini. La realtà è molto varia, le nostre categorie invece sono molto rigide».

I due ordini di valori, quelli espressi da Cielle e dalla Cisl, non entrano mai in conflitto?
«Sono due cose distinte. Quindi se qualcuno pensa che questo sia un motivo di guerra e di lotte politiche, si sbaglia. Cielle mi interessa per il mio destino di uomo e perché mi forma in quanto tale. Il fatto di essere diventato segretario di un sindacato così importante è una grande responsabilità e chi ha grandi responsabilità sa benissimo che non puo’ accontentare tutti. Fondere due organizzazioni grandi e complesse, significa prendere decisioni che incidono nella carne viva delle persone e gestire questo potere è la cosa più pesante perché se non hai un sistema di valori che ti sorregge, il rischio è di sentirsi padroni delle vite degli altri. E comunque, etichettare qualcuno sulla fede per portarla a livello della politica non è un buon servizio in primis per la politica».

Cosa vuole fare da grande?
«Mi piacerebbe tornare a studiare, è una cosa che mi manca. E se fra due anni mi dovessero riconfermare segretario della Cisl dei Laghi, grazie all’esperienza, lo farei meglio di come l’ho fatto finora».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 05 Febbraio 2016
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