Sud e debito pubblico le ferite aperte dell’Italia che riparte

Presentato alla Liuc il XX rapporto Einaudi. Giorgio Arfaras: «Abbiamo messo al sicuro il sistema pensionistico, ora l'Italia ha bisogno di crescita»

rapporto Einaudi

La vera novità introdotta dal XX Rapporto Einaudi sull’economia globale e l’Italia non è tanto l’annunciata ripresa economica contenuta nel titolo, seppur in formula interrogativa, quanto la scelta del luogo, fortemente simbolico, dove presentarlo. All’eleganza delle Ville Ponti, questa volta i vertici di Ubi-Banca Popolare di Bergamo hanno infatti preferito l’austerità sapiente dell’Università Liuc che quest’anno celebra i 25 anni dalla fondazione.

L’ateneo di Castellanza, voluto dagli imprenditori del Varesotto, ha un legame storico con questa banca, caratterizzato da una collaborazione reciproca, come hanno ricordato i due presidenti, Giorgio Frigeri (BpB) e Michele Graglia (Liuc): da una parte, vengono finanziati alcuni progetti formativi dell’università; dall’altra, c’è un trasferimento di innovazione e formazione al territorio e quindi anche alla stessa banca.

In un’aula Bussolati stracolma di persone, Giorgio Arfaras, tra gli autori del rapporto, ha spiegato i nuovi scenari che caratterizzano l’economia mondiale, partendo da una cartina del McKinsey Global Institute, secondo cui mille anni fa il baricentro economico mondiale era in Asia. «Durante la Grande guerra si è spostato in Europa – ha detto Arfaras -. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale si è localizzato tra gli Stati Uniti e il Canada, considerato che il Vecchio Continente era distrutto così come lo erano il Giappone e la Russia. Da un lento spostamento verso est, all’inizio degli anni ottanta si verifica un’accelerazione improvvisa. Nel 2025 il baricentro tornerà in prossimità dei confini cinesi».

rapporto Einaudi

Il ricercatore del Centro Einaudi ha parlato dell’onda lunga del cambiamento, determinato dall’aumento dell’aspettativa di vita, dalla crescita del grado di istruzione, dall’impatto delle innovazioni tecnologiche, dalla globalizzazione dei conflitti e soprattutto dalla caduta del prezzo del petrolio. «Oggi c’è un eccesso di offerta – ha sottolineato Arfaras – determinato dal rifiuto dell’Arabia Saudita di tagliare la produzione nonostante la discesa dei prezzi, scelta apparentemente legata  allo shale oil statunitense ma che colpisce avversari sul piano politico, quali Iran, Nigeria, Venezuela e Russia».

Non è detto poi che nel caso di una riduzione del prezzo della benzina alla pompa, ciò che si risparmia si traduce automaticamente in un aumento dei consumi e in nuova domanda. «Gli americani hanno utilizzato quel risparmio non per mangiare la pizza, bensì per ridurre il loro debito».

L’Italia sta uscendo dalla trincea dell’austerità e da una lunga recessione con notevoli differenze a seconda dei territori. Il Belpaese si porta dietro la ferita del Mezzogiorno, che ha origini lontane, e un debito pubblico pesante, così pesante da condizionarne le aspettative nel lungo periodo.

Il Paese ce la farà? «Non so dire quanto sia grande questo punto di domanda – ha concluso Arfaras -. La riforma Fornero ha messo al sicuro il sistema pensionistico, ora bisognerebbe pensare al debito pubblico: l’aumento del 2,5 % della domanda interna determina un aumento del Pil dell’1,5% e se ci sono dieci anni di crescita a questi ritmi, con il debito pubblico invariato, il rapporto debito pubblico/Pil scende a valori inferiori a 120, mentre il rapporto deficit/Pil potrebbe scendere sotto il 2%. Aumenterebbe così la buona occupazione e con essa la fiducia e il tasso di crescita. Non bisogna però abbandonarsi a un facile trionfalismo, ma nutrire un ragionevole, contenuto e sommesso ottimismo».

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Pubblicato il 03 Febbraio 2016
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