Ricerca e infrastrutture sono le colonne dell’industria 4.0 

Ferruccio De Bortoli e Roberto Cingolani direttore dell'Iit di Genova hanno dialogato sul tema dell'innovazione. «I cervelli italiani vanno all'estero perché sono ottimi, il problema è che quelli stranieri non vengono da noi»

Univa2016

Il giornalista Ferruccio De Bortoli inizia la sua conversazione con Roberto Cingolani, direttore dell’Istituto italiano di tecnologica di Genova, prendendo spunto da uno dei termini contenuti nella nuvola dei tag utilizzata da Univa per l’assemblea generale 2016: la fabbrica 4.0. «La declinazione di industria 4.0 è più ampia di come viene normalmente intesa – risponde Cingolani – Sono due paradigmi fondamentali di riferimento: Internet delle cose (Iot) e l’infrastruttura cloud. Servono sensori di nuova generazione se vogliamo delle macchine intelligenti, ispirate all’essere umano, e serve un’infrastruttura cloud più rapida del 4G».

I protagonisti della fabbrica 4.0

«Ci sono livelli più accessibili legati al digitale e livelli più complessi connessi allo sviluppo delle piattaforme hardware – continua lo scienziato -. Gli investimenti in questo momento sono a sei e sette zeri e con essi c’è una grande sensibilità sul tema e  l’idea di recuperare, ma bisogna darsi da fare. Lo stato in questa fase ha un ruolo importante come acceleratore con l’agenda digitale e la banda ultralarga».

Icub l’umanoide che interagisce

La robotica, altro tema molto sentito, introdurrà dei cambiamenti sia nella produzione che nel consumo. L’istituto di ricerca diretto da Cingolani è molto avanti su questo fronte grazie a Icub, robot progettato e  realizzato dall’Istituto italiano di tecnologia in grado di interagire grazie a una pelle di tessuto innervata da circuiti che danno all’umanoide la capacità di “sentire il contesto”. «In Italia c’è una grande percezione di questa realtà – spiega Cingolani – ma c’è anche la scarsa attitudine dell’italiano medio ad essere quantitativo e preciso. Le aziende invece hanno capito e reagiscono bene a queste innovazioni, mentre gli italiani hanno il più basso numero di kilobyte scambiati a fronte del più alto numero di smartphone in Europa. Lo usano non per la conoscenza, ma per fare foto».

La velocità fa paura

Negli ultimi secoli abbiamo assistito a molte discontinuità, ma con la rivoluzione digitale tutto evolve a una velocità a cui l’umanità non era abituata. «Le tecnologie – sottolinea lo scienziato – crescono e ci fanno paura perché sono troppo veloci, ma il progresso è cambiamento. Un robot in casa dovrà lavorare 12 ore al giorno, l’automobile fa il tagliando ogni 400 ore di utilizzo, se ci chiedessero di farlo ogni mese, lo rifiuteremmo. Questi robottini dovranno essere quindi molto efficienti e apriranno nuove opportunità e genereranno nuovi posti di lavoro. Bisogna essere obiettivi e preparati al cambiamento. Io faccio il tifo per un paese che investe nell’hardware almeno il 30% delle sue risorse per evitare di subire lo standard deciso da qualcun altro».

Investite sui big data

«Questo settore ha bisogno intelligenze che sappiano sviluppare modelli avanzati da applicare a grandi dati è promettente come settore e su cui investire. Le assicurazioni lo stanno facendo è un investimento sicuro e relativamente piccolo».

Polemiche e Human technopole

Cingolani è tra gli scienziati italiani coinvolti nella realizzazione del Centro di ricerca nell’area di Expo dedicato alle malattie degenerative, dell’invecchiamento e alla battaglia contro il cancro. Progetto che ha sollevato le polemiche di un’illustre senatrice a vita, Elena Cattaneo, scienziata conosciuta a livello mondiale, per quanto riguarda la partita dei finanziamenti. «Abbiamo avuto l’incarico di realizzare un masterplan e sottoporlo a una serie di verificatori internazionali la cui valutazione verrà inoltrata al Governo che poi deciderà. L’Italia insieme al Giappone è il Paese dove si invecchia meglio e ha le eccellenze necessarie per realizzarlo. Le polemiche non mi interessano».

I giovani e la loro preparazione

«L’Italia produce ottimi cervelli  – conclude il direttore dell’Iit – il problema è che per ognuno che se ne va non ce n’è uno che entra perché il nostro metodo di reclutamento è fuori dallo standard internazionale. La Gazzetta ufficiale, scritta in italiano e in burocratese, rende difficile la partecipazione a un concorso di uno scienziato tedesco. Ci vogliono poi infrastrutture di ricerca attrattive con standard internazionali. Il mio staff viene da 57 nazioni, stiamo combattendo per un asilo visto che l’età media è di 33 anni».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 30 Maggio 2016
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