La matematica ha bisogno di tempo e lentezza

Per i 70 anni di Franco Magri a Villa Toeplitz si sono dati appuntamento oltre 60 matematici provenienti da tutto il mondo. «Fare il matematico è un grande privilegio»

Franco Magri

«Il pensiero matematico ha bisogno di tempo e lentezza. Più le idee sono profonde più sono belle e semplici». Quando il matematico Franco Magri parla, lo fa con la calma tipica dei grandi pensatori. Sono solo i suoi capelli bianchi a rivelare  i settant’anni appena compiuti, non il suo sguardo, giovane e curioso, non la sua informalità, così affabile e così poco accademica. A Villa Toeplitz si sono dati appuntamento oltre 60 matematici  provenienti da tutto il mondo per celebrare il suo compleanno su invito della Riemann international school of matematics (Rism) e del comitato organizzatore composto dall’Università dell’Insubria, Università del Salento, Università di Milano Bicocca e Università di Bergamo.

Professore, in un periodo storico dove tutto è veloce, i matematici sono in controtendenza?
«Oggi c’è troppa pressione nella ricerca, nello studio, nelle pubblicazioni. La matematica richiede tempo, è  un lavoro lento e prezioso. E non mi riferisco solo alla grande ricerca ma anche al lavoro ordinario quello di tutti i giorni. Nel fare matematica c’è un trasferimento emotivo e intellettuale molto bello e anche un lato oscuro».

Il professor Ivar Ekeland, ospite lo scorso anno del Rism, per spiegare la vita del matematico e premio Nobel John Nash citò una poesia di Mallarmé in cui luci e tenebre rappresentano il genio e il malessere.
«Credo che il lato oscuro del matematico sia in qualche modo generato dall’oggetto del suo pensiero. A volte essere concentrati su questioni e problemi astratti diventa alienante. È l’altra faccia di una medaglia in grado però di generare bellezza, passione e libertà intellettuale».

Il premio più importante per i matematici, la Medaglia Fields, viene assegnato ogni 4 anni a condizione che il premiato non abbia superato i 40 anni. Questa stretta correlazione, tra età e creatività, per chi fa matematica è una parte di quel lato oscuro?
«Come le dicevo, l’essere sempre concentrati su questioni astratte può creare qualche problema. In questo seminario di studi ho portato con me un bel libro di Whitehead, “I fini dell’educazione”, in cui si sostiene che l’età creativa è compresa in un intervallo ancora più ristretto, tra i 18 e i 30 anni. In realtà ci sono anche felici eccezioni. Prendiamo il caso di Andrew Wiles, il matematico inglese che ha risolto l’ultimo teorema di Fermat, raccogliendo la sfida lanciata ad inizio secolo da David Hilbert. Lui la medaglia Fields non l’ha vinta perché aveva superato i limiti di età, però ha risolto uno dei grandi enigmi matematici della storia».

Quanto ha influito sui matematici del Novecento e sulla ricerca la sfida a cui ha appena accennato?
«Tanto, perché David Hilbert ha posto le grandi questioni matematiche del nostro tempo. Alcune sono state risolte, altre, come l’ipotesi di Riemann, sono rimaste intatte in tutta la loro enigmatica grandezza. Direi che l’iniziativa di Hilbert è diventata ormai una tradizione nella comunità matematica, visto che è stata lanciata la sfida anche per il nuovo millennio».

Oggi ha ancora senso distinguere tra matematica pura e matematica applicata?
«La divisione non è una questione di importanza. Ognuno ha la sua funzione e tutti devono convivere perché c’è uno stretto legame tra le due. Sarebbe un errore dividerle».

Troppo spesso vediamo le università italiane scomparire nelle classifiche internazionali e c’è una critica continua al nostro sistema universitario. Però poi ci si lamenta della fuga dei cervelli. C’è qualcosa che non torna: se l’università italiana fosse così scarsa, i nostri giovani ricercatori non dovrebbero essere così richiesti. Lei che è professore all’università di Milano Bicocca cosa pensa in proposito?
«Le nostre università hanno dei problemi, è vero, ma sono ancora di alto livello. Sono in grado di formare dei veri pensatori, persone valide e con un bagaglio culturale profondo. Se oggi qui a Varese ci sono  matematici provenienti da tutto il mondo significa che c’è anche una ragione legata alla qualità. La verità è che ci  flagelliamo più del dovuto. I nostri studenti sono molto apprezzati all’estero per la loro preparazione».

Consiglierebbe oggi a un giovane di studiare matematica?
«Certo, fare il matematico è un grande privilegio»

 

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Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 09 Settembre 2016
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