Non “maitre à penser”, ma “travolta da un insolito destino”: il ritratto di Lina Wertmuller

La grande regista, che ha sovvertito montagne di clichè sia nel cinema che nelle professioni al femminile, ha sorpreso anche il pubblico del Sociale

Lina Wertmuller riceve il premio Chiara alla carriera

E’ vero che l’età delle signore non si dice: ma per descrivere appieno Lina Wertmuller, che ha ricevuto ieri, domenica 25 settembre, il premio Chiara alla carriera al teatro sociale di Luino, la data di nascita – 14 agosto 1928 – è necessaria.

Perchè la grande regista, che ha sovvertito montagne di clichè sia nel cinema che nelle professioni al femminile («C’è un’italiana che parla di sesso e scopate come nessun uomo americano riuscirebbe: il suo “Travolto da un insolito destino…” mi ha ricordato “tropico del Cancro”» disse di lei Henry Miller) tende, con il suo solo vivere, a sovvertire anche il clichè dell’anziano: lucida, pronta e gentile ma spesso sintetica nelle risposte che dà, non esita a dire “non ricordo” ma mantiene una capacità e una libertà di giudizio ancora invidiabili, un’aria da “piccola monella” che alcuni degli intervistati nel docufilm che l’ha descritta con grazia (“Dietro gli occhiali bianchi”, realizzato dal giovane regista Valerio Ruiz) ancora le attribuiscono.

Se si è sentito un pizzico di disagio, nelle domande che le sono state poste (peraltro da due mostri sacri del cinema nazionale e nostrano, Paolo Mereghetti, che ha dato il nome a uno dei più famosi dizionari di Cinema italiano, e Mauro Gervasini, direttore di Film Tv e membro della commissione selezionatrice della mostra del Film di Venezia)  questo sembrava provenire dal suo imbarazzo a rispondere  alle domande che le attribuivano un ruolo che in fondo non si sentiva: quella di maitre à penser, di teorizzatrice del cinema e della società, che pure lei cosi magistralmente ha descritto. A suo dire, la sua vita è un susseguirsi di coincidenze, di “colpi di fulmine”, di occasioni fortunate.

Eppure quei film che tanto ci hanno fatto sorridere, hanno segnato una pietra miliare della cultura italiana: anche se, ci tiene lei a far comprendere, senza tante filosofie. Descrivere cosi lucidamente la società italiana, soprattutto nei rapporti politici e personali tra gli uomini e le donne, le è stato possibile, evidentemente, grazie alla sua passione e quella sua straordinaria capacità di “dire le cose come se le stesse raccontando al bar” così come le consigliò il grande Federico Fellini, di cui la Wertmuller fu assistente alla regia nel corso di uno dei suoi film più noti, “Otto e mezzo”.

Per questo, dopo il suo plurpremiato film d’esordio, i Basilischi, cambia completamente obiettivo: «Ho preso tanti premi importanti per quel film. Ma non volevo essere etichettata come regista d’autore: io volevo essere ricordata per aver fatto divertire il pubblico, perchè il divertimento è una delle cose più importanti della vita, più del successo».

Il risultato fu un enorme successo televisivo: Gian Burrasca, lo sceneggiato che negli anni sessanta fece scoprire il talento anche d’attrice di Rita Pavone. «Rita è una specie di folletto, per me. È una persona speciale: è piena di talento in modo sorprendente. E’ un suo dono».

La Wertmuller, del resto, ha fondato la sua carriera anche sulla scoperta  e la valorizzazione di talenti straordinari e sottovalutati, come quello della poco conosciuta – e fino allora poco utilizzata cinematograficamente – Mariangela Melato: «Mariangela non aveva nessuna delle caratteristiche delle attrici italiane, ma aveva dei doni particolari – spiega – Era strana, poteva sembrare una americana e aveva una grande personalità». Personalità che la Wertmuller aveva saputo valorizzare senza traumi, come in altri casi: «Non ho mai avuto conflittualità con gli attori: sono stata attrice anch’io, come avrei potuto? Se i miei film nascono dal rapporto con gli attori, come dite, è perché mi piacciono moltissimo» spiega.

Cosi, anche di Sophia Loren fa un ritratto poco usuale:«Sofia era persona serissima, molto intelligente. Ha fatto seriamente tutto o quello che ha fatto: dall’attrice alla moglie di Carlo. È addirittura meglio di quello che voi pensiate che sia».

La Wertmuller, che ha avuto un unico grande amore nella vita, l’artista e scenografo Enrico Job («Un colpo di fulmine, diventato amore vero. Sono stata fortunata») non è stata, infine, solo attrice e regista: ha scritto e pubblicato i testi di ben 35 canzoni. «Ne ho ancora molte nel cassetto, ma non ho mai pensato ad un cantante specifico mentre le scrivevo… Perdonatemi, è un mio vuoto culturale». Del resto: «Sono tante le cose che non si fanno, per questo sono preziose quelle che si fanno. Fa parte della vita».

 

 

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 26 Settembre 2016
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