Due anni a Varese per il comandante scrittore
Emiliano Bezzon il 1 ottobre ha festeggiato due anni di attività come comandante della polizia locale di Varese. Ma hanno due anni anche i suoi primi due libri: intervista, in attesa del terzo
Emiliano Bezzon, samaratese, sposato da 25 anni, due figli, il 1 ottobre ha festeggiato due anni di attività come comandante della polizia locale di Varese. Laureato in giurisprudenza, lavora da oltre vent’anni come Comandante della polizia locale di diverse città: prima di arrivare nella città giardino è stato addirittura il “Capo dei Ghisa”, il comandante della prestigiosa sede di Milano. Tra le altre sedi, è stato anche a Gallarate, ed è stato ed è tuttora formatore di altri agenti di polizia locale.
La sua vita però non è solo fatta della gestione della sicurezza di una città. Molto della sua vita ora passa tra le pagine di un libro. Non solo i diversi testi giuridici per operatori di polizia, uno dei quali, il manuale di polizia giudiziaria, è giunto alla quarta edizione: ma anche veri e propri gialli. Anche loro hanno compiuto due anni: “Breva di morte”, il suo primo romanzo scritto a quattro mani con Cristina Preti, è stato infatti scritto nel 2014 e pubblicato nel gennaio del 2015. Due domeniche fa il suo secondo libro, “Le verità di Giobbe” è uscito con Varesefocus e il Sole 24 ore, e un suo racconto è finalista del premio letterario “Gialli sui laghi” che vedrà la proclamazione del vincitore il prossimo 9 ottobre a Varese.
LA NASCITA DI UNO SCRITTORE DI GIALLI
«In realtà, con la narrativa mi sono cimentato per la prima volta nel 2007: scrissi un racconto in un libro che si intitolava “Delitti e canzoni.una jam session letteraria” – spiega Bezzon – Era un volume scritto da un mio ufficiale a Milano, che però era laureato al Dams di Bologna, cabarettista, attore ma soprattutto scrittore: si chiamava Fabrizio Canciani, e purtroppo una malattia neurologica l’ha portato via a 52 anni tre anni fa. E’ stato lui a dirmi «Sto creando una raccolta di racconti, prova a scrivermene uno. Secondo me, sei bravo. Semmai te lo aggiusto». Io non l’avevo mai fatto, pensavo fosse una roba da pazzi, ma ci provai. E quando lo scrissi lui mi rispose: «Sai che va già bene?» mi diede qualche consiglio in più ma fu soddisfattissimo. Il risultato fu che il mio primo scritto fini in mezzo a racconti sul rapporto tra delitti e canzoni di più trentina di scrittori, musicisti, attori, cabarettisti, giornalisti, cantautori, commediografi: da Ricky Gianco a Carlo Lucarelli, da Fabio Treves a Leonardo Manera.
Fu una bellissima esperienza, ma che all’inizio archiviai: non avevo tempo, da comandante dei vigili di Milano, di essere trasportato dalla scrittura. Lo stress del lavoro nel capoluogo è assolutamente totalizzante: non avevo ne tempo ne energia. Nel 2014 mi son detto “Il tempo ce l’ho. Una volta che ho lavorato le mie 10 ore al giorno, posso serenamente affrontare il mio tempo libero scrivendo” così ho scritto il primo romanzo “Breva di morte” insieme a Cristina Preti, ed è nato il personaggio di Daria Mastrangelo. Due anni dopo è arrivato “Le verità di Giobbe”».
TUTTE LE PROTAGONISTE DONNE DI BEZZON
La tenente Mastrangelo è la figura centrale dei due primi libri di Emiliano Bezzon: una carabiniera tostissima, tanto carina quanto determinata. «Quando con Cristina abbiamo deciso di scrivere e inventare la Mastrangelo, volevo una donna, che avesse un lavoro maschile e magari istituzionale: ed è venuta fuori lei – spiega Bezzon – Io ne sono convintissimo, anche nella realtà: per me le donne sono più brave a fare le investigatrici. Hann0 una straordinaria capacità di sopportare la parte noiosa delle investigazioni: leggere centinaia di pagine di verbali o intercettazioni. Le donne sono più ordinate ma anche più intuitive nel lavoro». Purtroppo però, per chi si era abituato alla tenente c’è una cattiva notizia: «Devo dirlo: Daria Mastrangelo non c’è più. Nell’ultimo libro che ho scritto, la protagonista è ancora una donna ma è completamente diversa: si tratta infatti di una investigatrice privata, in realtà una psicologa specializzata in terapie di coppia che finisce per occuparsi di tradimenti e diventa, seguendo i suoi casi, investigatrice».
“SCRIVERE? E’ DIVENTATA UNA DIPENDENZA”
(E TRA POCO ARRIVA IL PRIMO LIBRO FIRMATO DA SOLO)
Ora l’attività di scrittore occupa praticamente tutto il suo tempo libero: «Quando i due libri hanno cominciato a funzionare, mi sono detto “devo scrivere, voglio scrivere“: e cosi ho fatto. In poche settimane ho scritto quattro racconti ambientati a Varese, un quinto che ora è in finale al concorso Gialli sui Laghi (con nomi in lizza insieme a lui come Giorgio Maimone, Aldo Lado, Giuseppe Battarino e Erica Arosio). Ho aderito al bando di “Garfagnana in giallo”, mentre quello per il concorso “La provincia in giallo” l’ho spedito due giorni fa. E’ ambientato a Varese, in Sant’Ambrogio… Intanto ho finito di scrivere il terzo romanzo, firmato da solo: l’ho consegnato a luglio, intorno alla fine di questo mese mi aspetto le prime risposte». Una attività straordinaria, quasi frenetica… «In effetti a volte mi prendono dei raptus, sto pensando di avere una dipendenza». Certamente non una dipendenza cruenta, come non lo sono i suoi gialli: «I miei libri non hanno sangue, ne violenza, ne sesso. Sono uno scrittore di gialli vintage: preferisco il giallo investigativo, dove il lettore viaggia con me e scopre come arrivare all’assassino».
“VARESE E’ UN GIOIELLO: IL NOSTRO LAVORO E’ MANTENERLA TALE”
Della sua attività negli ultimi due anni Bezzon confessa: «Non so fino a che punto faccio il poliziotto e quanto faccio lo scrittore che sta raccogliendo dati». E, poiché l’arrivo a Varese ha coinciso con l’incominciare a scrivere, il pensiero che Varese sia una sede più adatta a diventare scrittori è inevitabile. «Non certo perchè si sia meno da fare – precisa – E’ vero che l’attività investigativa non è il cuore delle nostre giornate di lavoro, e che a Milano il livello di stress è enorme, tanto da non farti staccare mai la testa, ma fare il comandante a Varese non è una cosa banale rispetto a Milano, è una attività proprio diversa. Quando ci capita di fare attività investigativa per un incidente, come per esempio quello della povera Giada, non ci siamo limitati a rilevare la dinamica: ci siamo proprio detti: “Dobbiamo prenderlo”. E con quell’idea ci siamo mossi in maniera ininterrotta, e i miei collaboratori hanno mostrato arguzia e voglia di fare. Ne sono stato orgoglioso».
Ma cosa deve fare a Varese, un comandante della polizia locale? «Varese vive in un paradosso: è talmente bella, e non solo dal punto di vista paesaggistico, che è impegnativo e faticoso far si che non venga sfregiata tanta bellezza. Altre città sono già degradate e perse per conto loro, se lo standard non è alto mantenerlo è più facile. Io capisco quando la gente si lamenta di fatti che magari in un’altra città non sarebbero nemmeno notati, è giusto che sia cosi: in questo modo si evita la degenerazione di una città. Dobbiamo essere bravi, tutti, a mantenere questo livello e impedire che si scivoli nel peggio e si cominci a sopportare comportamenti al limite. Perchè la sicurezza non sono i vigili, i carabinieri o la guardia: la sicurezza è una città che ti aiuta e ti soccorre e fa il suo dovere raccontando quello che sa, così da permettere poi alle le forze dell’ordine di indagare e trovare il colpevole. E qui questo atteggiamento l’ho trovato: per esempio quando facciamo i rilievi un incidente non fatichiamo a trovare persone che testimoniano quel che è successo, elemento che permette di arrivare ai corretti risultati. Vi assicuro che trovare le stesse persone, a Milano, era una vera impresa».
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