La libreria è la migliore agenzia di viaggio

Intervista a Cristina Bellon autrice del romanzo "L'uomo che non sono" (Cairo). «Le librerie devono imparare a vendere indipendentemente dalle azioni di marketing delle case editrici»

Cristina Bellon

L’ultimo romanzo di Cristina BellonL’uomo che non sono” (Cairo) ha venduto duemila copie in poco meno di due mesi. Un buon risultato, di questi tempi, per un bel romanzo, troppo frettolosamente classificato come giallo. Il merito di questo successo va all’autrice varesina (è nata a Somma Lombardo), protagonista di una serie di iniziative che hanno messo al centro la lettura e l’amore per i libri.

Cristina, la soddisfa la classificazione di romanzo giallo?
«In realtà ho creato una storia a più strati,  “L’uomo che non sono” si può leggere in due modi: rimanendo in superficie facendosi spingere dal ritmo e dalla suspence oppure si puo’ scendere nel profondo per toccare con mano la malattia più grave dei nostri giorni».

Di quale malattia si tratta?
«Quella che ci spinge tutti i giorni a recitare sul palco della vita da protagonisti, ma non è una cosa che possono fare tutti perché bisogna averne le qualità. Questo è un piano di lettura del mio romanzo, cioè una critica ai costumi sociali, a questo vivere sopra le righe e sopra se stessi. Uno dei protagonisti è consapevole di questo aspetto e lo dice chiaramente: la gente non ti giudica per quello che sei ma per quello che dimostri di essere. E quando decidiamo di salire sul palco seguendo la moda del momento e non un’esigenza che nasce dal profondo, allora potremmo trovarci nei guai».

È per questo che Giovanni, il protagonista del romanzo, esprime una certa inadeguatezza nei confronti della vita?
«Nel romanzo  manca una storia d’amore. Perché chi non è in grado di amare se stesso non puo’ amare gli altri. Il messaggio è chiaro: amiamoci un po’ di più e cerchiamo di  non uniformarci sempre al gregge, a maggior ragione se non conosci il pastore. Quando Giovanni esce dal suo mondo non trova più un senso, non c’è più una via da seguire, non c’è più pensiero».

Lei si è trasformata in libraia per un giorno, dedica il suo tempo a consigliare i lettori, incontra le persone ovunque e non con la formula classica della presentazione del romanzo davanti a una platea. È per caso in missione per conto della cultura?
«La mia non è una missione però credo che un impegno personale in questo senso sia necessario. La distribuzione del mio romanzo è stata ottima, d’altronde Cairo distribuisce con Rizzoli, ma poiché non è stata fatta un’azione di marketing specifica su di me, mi sono data da fare. È stata una bellissima esperienza perché ho incontrato moltissime persone e facendo la libraia per un giorno ho potuto parlare di letteratura e mandare messaggi culturali, indipendentemente dal fatto che avessi scritto un libro. Il lettore italiano è molto meglio di come viene descritto e la libreria è ancora la migliore agenzia di viaggio che io conosca, con un libro puoi andare ovunque anche su Marte».

Però molte di quelle indipendenti stanno morendo o sono già morte…
«È vero, noi viviamo nell’epoca in cui i piccoli negozi di generi alimentari chiudono perché aprono i supermercati. Ma se parliamo di libri la storia non è quella del leone che mangia la gazzella. Quel mondo è in crisi perché al lettore manca la giusta attenzione e questo lo disorienta. Osservate le persone che entrano in libreria, guardano la quarta di copertina, poi rimettono giù il libro, consultano le classifiche, alle quali io non credo, anzi sono convinta che siano artefatte. Hanno bisogno di indicazioni e per darle occorre avere una formazione specifica, essere lettori appassionati perché il libraio non è un semplice commesso, non fa un mestiere qualsiasi. Insomma, le librerie devono imparare a vendere indipendentemente dalle azioni di marketing delle case editrici».

Mi fa un esempio?
«”La ragazza del treno”, libro recente, è una chiara operazione mediatica, di marketing ben riuscito. Non che non sia un buon libro, ma non lo è più di altri. La differenza è che ha avuto una grande promozione e strategie appositamente studiate».

Qual è l’ultimo libro che ha letto?
«Ho appena terminato “Il mare davanti” di Erminia dell’Oro un’eritrea che vive a Milano. È la storia di un ragazzo  che ha attraversato su un barcone il Mediterraneo per arrivare in Italia. Un libro che ci rimanda una realtà nella sua giusta dimensione che non puo’ essere paragonata a quella dei nostri emigranti, come spesso viene fatto in modo semplicistico. E poi sto leggendo “L’estate fredda” di Gianrico Carofiglio, ma non definitelo un giallo».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 16 Dicembre 2016
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