Com’è tradurre la notte degli Oscar

Elia Rigolio, interprete, ha tradotto per Sky in diretta le tre ore di red carpet e preparazione all'evento: bisogna sapersi muovere tra centinaia di nomi di attori e registi, ma anche di fonici, scenografi, marche di vestiti e gioielli

gallarate generico

C’è chi – in molti – ha fatto la maratona davanti alla Tv per la notte degli Oscar e c’è chi l’ha fatta dietro la Tv, lavorando alla trasmissione italiana di uno degli eventi globali più seguiti. Elia Rigolio è un interprete (traduttore) che abita a Gallarate e, come già nel 2016, è stato selezionato da Sky per tradurre la voce delle star – e non solo, e qui sta il bello – a Los Angeles.

«Ho lavorato per Sky e per TV 8 (che è sempre del gruppo Sky): era previsto l’impegno di due equipe di interpreti, in coppia uomo e donna: una – la mia – per la traduzione del red carpet e di tutta la fase di arrivo all’evento, l’altra équipe per la fase delle premiazioni. In televisione si doppia sempre uomo con uomo e donna con donna, per una questione di interpretazione delle voci». La notte degli Oscar, si diceva, è una maratona, non solo per chi guarda ma anche per chi sta dietro le produzioni televisive: «Ognuno delle due équipe ha lavorato per tre ore e passa, che per un traduttore è un lavoro massacrante».

C’entra la velocità e il «rumore di fondo» sul red carpet, ma c’entra soprattutto la conoscenza del contesto, che non si può improvvisare e che va ben oltre la “semplice” conoscenza perfetta della lingua: «Si deve studiare tutto sui film, i nomi dei registi, dei produttori, degli sceneggiatori, bisogna conoscere anche aspetti tecnici che vengono citati. Per il red carpet, poi, una parte consistente è data anche dai commenti su aspetti come i rapporti tra star, il gossip, i vestiti, si traducono anche i commenti dei giornalisti di Vanity Fair e People».

Conta dunque la notte degli Oscar, ma il lavoro inizia ben prima. «La preparazione è strana perché si muove su tanti campi diversi: dagli aspetti tecnici di cinema agli aspetti più mondani, dicevo. Ma anche quando si parla di moda si devono conoscere poi anche gli aspetti tecnici, sapere cos’è il volant o l’organza. Così come si devono conoscere i nomi delle marche, dei vestiti e della gioielleria, che vengono citati anche per ragioni di sponsorship».
Quanta preparazione richiede? «Nell’ultima fase una settimana, anche se non proprio a tempo pieno. Ma in realtà lo studio inizia prima: ci si tiene informati nei mesi precedenti, poi dalle nomination si fa più attenzione, infine lo studio diventa più intenso nell’ultima settimana, anche con l’attenzione al gossip. Faccio un esempio: Jimmy Kimmel – il presentatore dell’evento – e Matt Damon hanno alle spalle storia di prese in giro reciproche, che nei riferimenti ironici possono anche essere pesanti: bisogna conoscere bene il contesto prima, per poter tradurre anche con l’intonazione corretta».

Qual è il momento o il personaggio che si sono rivelati più ostici? «Anche se non l’ho fatto io, direi il monologo iniziale della premiazione: è sempre micidiale, perché è fitto di battute e giochi di parole».

Come avviene la selezione di un interprete per questo genere di eventi in tv? «Nel nostro campo ci si muove molto per referenze tra colleghi: gli interpreti di simultanea uomini disposti a lavorare in televisione non sono numerosissimi. L’agenzia che da anni fornisce gli interpreti per l’evento ha ottenuto dalla produzione di raddoppiare l’équipe per suddividere lo sforzo e così si sono rivolti a me, grazie anche alla segnalazione del collega che traduce la premiazione. Va detto che è un lavoro piuttosto atipico anche per noi, devi piacere al cliente: non significa essere più o meno bravo nella traduzione, ma saper in grado di andare incontro alle richieste del cliente. Ad esempio quest’anno ci hanno chiesto di ridurre la velocità dei dialoghi, per evitare che fosse difficile comprenderli».

Avevi già lavorato in eventi di questo genere, prima dell’edizione 2016 e 2017 degli Oscar? «Per il cinema mai, tranne appunto l’anno scorso. Però da diversi anni lavoro con la televisione: ho tradotto – per Mediaset – motogp e formula 1, ma anche – per Sky – il discorso della vittoria di Obama e l’insediamento di Trump».

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 27 Febbraio 2017
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