Molina, una questione di opportunità politica
"Se c’è stato errore strategico, come sembra, la responsabilità investe più persone. C’è il tempo per riconquistare il futuro, ma non per quelli che toppano per via di una cultura mai aggiornata"

I ripetuti picchi della massima confusione politica sotto il cielo del Nord Ovest di Lombardia oggi richiederebbero un pizzico di ironia anche da parte dei commentatori o degli stessi protagonisti di vicende contorte che non sempre si può mettere bene a fuoco. Due esempi di confusione: la riforma sanitaria regionale che a Varese sta mettendo in ginocchio l’assistenza ospedaliera ai cittadini e la vicenda del Molina, fondazione nata per ospitare e curare i varesini anziani, a sorpresa individuata anche come esploratrice dei vasti mari della finanza.
Avessimo ancora il nostro Morgione una sua battuta o una sua vignetta avrebbero già perfettamente sintetizzato una situazione ben coperta prima di emergere e che oggi, dopo mesi, non può essere ancora chiarita anche per i silenzi e i dribbling istruttorii di chi per conto della Regione sta facendo approfonditi controlli.
E’ un fatto però che sia già confermata la valutazione iniziale di Varesenews: restando ben lontano da polemiche e da giudizi affrettati si disse che l’intera vicenda innanzitutto andava valutata alla luce della opportunità politica delle scelte fatte da chi è subentrato alla guida della Fondazione per scadenza del precedente mandato.
E se prendiamo come primo riferimento la convenienza politica dell’intera operazione occorre serenamente rilevare che essa c’è stata per più attori, vale a dire singoli politici, partiti e magari pure personaggi della parapolitica dove, accade in tutta Italia, si piazzano a prezzi fuori mercato miracolosi elisir di lunga vita. La loro naturalmente.
Lo statuto del Molina stabilisce che la nomina della guida della fondazione, presidente e consiglieri, sia fatta dal sindaco di Varese. Che un paio di anni fa il sindaco Fontana non abbia messo a segno un colpo fortunato lo dice la cronaca degli eventi. Fontana non era tenuto a valutare lo sgambetto – tutto aLl’interno di un partito di Centrodestra e di matrice cristiana , l’UDC – fatto a un presidente del Molina di notevole efficienza come Guido Ermolli. Va inoltre anche ricordato che Ermolli avrebbe lavorato nel solco della cristallinità dei suoi predecessori, gli ultimi due di matrice leghista e uno, il dottor Mario Carletti, molto noto in città.
Fontana doveva prendere atto e basta di un cambio della guardia all’interno di un partito non certo avversario. Gli è bastato, ma non per molto tempo: gli ex UDC inebriati dai giri di valzer per festeggiare la loro resurrezione politica e di immagine hanno rimescolato alla grande il mazzo di carte sino a essere determinanti anche per il successo elettorale nientemeno che della Sinistra. Alla quale avevano assicurato, in cambio di poltrone, i voti che mettevano tutti al riparo da sorprese. Un colpo magistrale per politici dal consenso molto limitato ma evidentemente gestibile come un cagnolino ammaestrato.
Fu anche così che a Palazzo Estense finirono all’opposizione la Lega e gli altri partiti di centrodestra. Dopo due mandati c’era il fine corsa per Fontana, il sindaco che aveva insediato i futuri voltagabbana alla Fondazione Molina.
Politicamente Fontana ai meno informati potrebbe richiamare il Tafazzi televisivo che irrompeva improvvisamente nelle trasmissioni stamburando con vigore sui gioielli di famiglia, riferimento eccessivo, anzi ingiusto perché Fontana era e resta un signore e un politico rispettoso delle regole: è impossibile infatti che abbia accolto la richiesta di avvicendamento ai vertici del Molina senza consultarsi con il suo partito e con gli alleati, pure interessati direttamente alla vicenda. Addebitare in qualche misura il pasticcio odierno del Molina ad Attilio Fontana sarebbe di cattivo gusto, già gli rompiamo le scatole per il poco realizzato facendo noi finta di non sapere che aveva i soldi solo per la gestione ordinaria.
Ma il Molina, se facciamo riferimento solo all’opportunità politica, non può essere usato come trappolone nemmeno indirettamente per l’attuale sindaco se si va ad analizzare la realtà gestionale, fondata sull’indipendenza assoluta, della fondazione; inoltre sarebbe pure un azzardo formulare contro Galimberti ipotesi di responsabilità diretta, avulsa dal partito, in ordine all’alleanza con il gruppetto di ex democristiani per l’occasione presentatisi con abiti laici per l’avventura, ben remunerata, a sinistra.
Se c’è stato errore strategico, come sembra, la responsabilità investe più persone, le teste pensanti di un partito lontano ancora dalla compattezza, fondamento di gran parte del suo passato. Oggi il Pd varesino a Roma, Milano e Varese ha sicuramente tre pilastri, ma la città non sembra avvertirne la coesione perfetta, il lavoro di squadra, la capacità di promuovere consistenti iniziative politiche a favore delle persone e del territorio.
C’è largamente il tempo per risalire, per riconquistare il futuro, il tempo invece avrà dei limiti per quelli che toppano per via di una cultura mai aggiornata, se di cultura si può parlare. Oggi il Molina si presenta loro come il terminal. E, dopo, al museo della politica cittadina dovranno bussare a lungo.
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