I derivati sono un’arma di difesa per le aziende

Sono strumenti finanziari nati per limitare il rischio delle imprese esposte alla volatilità dei mercati soprattutto materie prime e valute. Le aziende italiane sui bilanci del 2015 riportano perdite su cambi per 2,6 miliardi di euro

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«La parola derivato evoca sempre qualcosa di negativo, ma non è nato per far del male, anzi. È l’uso distorto che ne hanno fatto gli uomini il vero problema. In realtà i derivati sono una copertura di rischio sul prezzo delle commodity, sul tasso di cambio delle valute. Quindi se gestiti in modo corretto rappresentano un aiuto per le imprese. Dopo il 2008 c’è più consapevolezza, soprattutto da parte delle banche, nel loro utilizzo». Quella di Roberto Spiller, partner di Kpmg Milano, è tutt’altro che una difesa d’ufficio. È comunque innegabile che l’argomento sia piuttosto delicato da affrontare perché non appena si pronuncia la parola “derivati” le immagini del crac della Lehman Brothers vengono subito alla mente. Parlarne e conoscerne la corretta gestione però può risultare vitale per molte imprese, soprattutto per quelle che esportano, le più esposte alla volatilità dei mercati. Lo sanno bene le aziende del Varesotto la cui quota di export sfiora  il 40% del fatturato, facendo del nostro territorio una delle prime 10 province esportatrici italiane.

LE CARATTERISTICHE DI UN DERIVATO
Forse nemmeno gli organizzatori, Marco Crespi, responsabile dell’area finanza di Univa, e Ivan Spertini, partner di Kpmg Varese, avrebbero scommesso sulla riuscita di questo incontro. Invece i tanti imprenditori presenti (e qualche manager bancario) hanno dimostrato che il tema è di grande interesse sia per gli aspetti tecnici, relativi alla gestione dei derivati nel bilancio dell’azienda, sia per quelli più strategici.
Con i derivati un’azienda può determinare oggi il prezzo di acquisto o di vendita di materie prime o il tasso di cambio della valuta, per cercare di limitare i rischi tipici di chi opera sui mercati internazionali. Facciamo l’esempio di un’impresa di Busto Arsizio che abbia un ordine per un nuovo impianto da piazzare in Giappone. Oggi l’imprenditore sa che entro sei mesi dovrà consegnare il nuovo macchinario a un dato prezzo stabilito in Yen. E se nel frattempo l’andamento dell’Euro sul mercato dei cambi penalizzasse l’azienda bustocca e alla fine il guadagno effettivo crollasse? Ecco, i derivati servono anche a questo. Fissare oggi il valore nominale di quanto l’azienda incasserà. Se l’Euro crolla l’azienda avrà limitato i danni, se l’Euro, invece, si apprezzerà, l’azienda avrà perso un possibile guadagno sul cambio. Ancora una scommessa, dunque, ma fatta per avere un incasso certo ad una data certa. Un’arma di difesa, non uno strumento di speculazione. «I derivati permettono di gestire in modo efficiente un rischio – spiega  Spiller – e possono essere semplici o molto complessi, ma in ogni caso devono avere sempre queste tre caratteristiche: la fair value (una valutazione equa, razionale ed equilibrata del prezzo ndr) che cambia come risposta del cambiamento delle variabili sottostanti, nessun o un minimo investimento, il regolamento a una data futura». Per esempio spesso nei contratti di locazione a scopo commerciale la clausola di indicizzazione Istat ha tutte le caratteristiche di un derivato anche se non lo chiamiamo con questo nome.

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nella foto da sinistra Roberto Spiller, Marco Crespi e Laura Oliva

SI PUO’ FARE A MENO DEL DERIVATO MA IL RISCHIO RIMANE
I modelli utilizzati per il risk management sono stati quasi tutti ispirati dalla letteratura bancaria. «Per le aziende – spiega Laura Oliva ceo di eKuota.com – i rischi sono sempre legati alle valute e ai prezzi delle materie prime. Se analizziamo gli ultimi 5 anni è evidente l’apprezzamento di alcune monete rispetto all’euro. Il real brasiliano nel 2016 fa segnare un +20, 44%, il rublo russo un + 20,30 mentre tra le materie prime lo zinco registra un + 60,1% , l’acciaio un + 47%. Se però guardiamo al 2015 sembra un altro mondo perché, ad esempio, il prezzo dello zinco aveva il segno meno (-2,7%) e l’acciaio registrava un -3,4%. Questa volatilità, che rappresenta un rischio per l’azienda, va gestita. Quindi sulla base degli obiettivi aziendali va misurata l’esposizione, decisa una strategia e una volta scelta si monitora la situazione. Il rischio c’è ma può essere trasformato in una opportunità».
La strategia ha due estremi: copro tutti i rischi oppure non copro nulla in attesa degli eventi. «In realtà – ha aggiunto Ivan Spertini – per un’impresa che è fortemente internazionalizzata ed esporta i suoi prodotti, l’immobilità rispetto ai derivati non annulla il rischio perché la volatilità c’è lo stesso». Ed è un’immobilità che può costare caro, almeno quanto una manovra finanziaria del governo. «Le aziende italiane – conclude  Oliva – sui bilanci del 2015 riportano perdite su cambi per 2,6 miliardi di euro».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 10 Marzo 2017
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