Il giorno in cui esplose la Polveriera di Taino

Successe il 27 luglio 1935, nello stabilimento di materiale esplosivo ci furono trentacinque morti. Una tragedia che è rimasta per decenni nella memoria di tutti i paesi della zona

Nella polveriera di Taino

Il 27 luglio 1935 era un sabato. Settant’anni fa il sabato era un giorno lavorativo pieno e alla Polveriera di Taino centinaia di operai erano al lavoro. A dispetto del nome – che potrebbe far pensare ad un semplice deposito – la “polveriera” era in realtà una vera e propria fabbrica di materiale esplodente, per uso militare e civile, di proprietà della Società Generale Italiana Esplosivi: tra opere pubbliche avviate e una guerra (quella di Etiopia) alle porte, la domanda di esplosivi era in quel momento molto significativa e anche al sabato si lavorava alacremente.

Alle 14.35, quando il turno pomeridiano era appena cominciato, una violentissima esplosione devastò un’area dello stabilimento.

È un fatto rimasto a lungo nella memoria dei paesi circostanti, perché alla Polveriera lavorarono generazioni intere di operai e operaie, fino al 1972, e perché c’era un forte senso di unione («eravamo una grande famiglia») forse anche sollecitato dal rischio vissuto quotidianamente tra quelle mura.

La storica e scrittrice Laura Tirelli oggi ha pubblicato diversi materiali sul suo profilo Facebook e così ricorda il momento dell’esplosione:

[lo scoppio] si verificò nel capannone adibito all’imballaggio dei materiali, lungo circa 15 metri ed alto 4, ubicato in posizione eccentrica rispetto alla restante parte dello stabilimento. La violenza dell’esplosione causò la rovina dell’intero fabbricato. Nel reparto imballaggio lavoravano maestranze femminili coadiuvate da alcuni uomini per i lavori più pesanti. Immediatamente dopo l’esplosione, chiaramente avvertita anche nei paesi vicini, la gente accorse numerosa. Giunsero subito anche i soldati del 27° Artiglieria della Divisione Legnano attestati sulle alture circostanti per esercitazioni campali, i carabinieri e i militi dei paesi limitrofi

Inizialmente furono recuperati dodici corpi, si lavorò poi per ore nella speranza, rivelatasi vana, di recuperare qualche superstite: i corpi di chi si trovava nel reparto imballaggio furono straziati dall’esplosione e si recuperarono brandelli persino sulle fronde degli alberi circostanti. Ci si rese conto che molti degli operai mancanti all’appello – all’inizio se ne contarono 34 – erano stati uccisi dall’esplosione. Molti altri rimasero feriti o sordi.

Alla fine il computo delle vittime si attestò a trentacinque, tre uomini e trentadue donne. I paesi colpiti dal grave lutto furono Taino che ebbe 15 morti, Angera con dieci, Sesto Calende (Lisanza) sei, Besozzo ebbe due morti, Castelletto Ticino ed Ispra uno a testa. La più anziana fu Carolina Tonella, tainese di 48 anni, la più giovane Angela Paietta, anche lei di Taino, di 21 anni.

Nella polveriera di Taino
La Polveriera fu ricostruita ed ampliata negli anni tra il 1935 e la Seconda Guerra Mondiale: a quel periodo risalgono molti degli edifici oggi esistenti, in stato di abbandono. Durante la guerra fu attaccata da cacciabombardieri americani, ma miracolosamente furono risparmiati nuovi lutti ai paesini del Medio Verbano

Il 29 luglio – scriveva La Stampa di Torino – ai funerali parteciparono «oltre 15mila persone». Le esequie solenni ebbero quasi carattere militare: le bare furono deposte inizialmente alla Casa del Balilla di Taino, furono salutate con «il rito fascista dell’appello» («presente!») e poi scortate da soldati e avieri e alti ufficiali per la cerimonia in chiesa. Alla tronfia retorica restituita dagli articoli di giornale dell’epoca fa da contrappunto il ricordo, minuto e implacabile, di Carla Tonella, giovanissima operaia (lavorava nel reparto bossoletteria), figlia di una delle vittime. Che nella memoria mantenne il ricordo del “suono continuo e cadenzato delle bindelle del falegname Movalli dove anche di notte lavorarono, nei giorni successivi allo scoppio, per costruire le casse ove riporre i poveri resti delle 35 vittime”.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 27 Luglio 2017
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