La Liuc inaugura l’Anno Accademico: “Cambiare si può, si deve”

Guardare avanti con un'idea e una cultura di sviluppo che non può prescindere dal rinnovamento: questo il concetto di fondo su cui il Rettore Visconti ha insistito durante la cerimonia di apertura

inaugurazione anno accademico 2017 2018

“La vita può essere capita solo all’indietro, ma va vissuta in avanti”: il Rettore della LIUC – Università Cattaneo Federico Visconti apre con Kierkegaard la relazione di Inaugurazione dell’Anno Accademico 2017 – 2018 che rappresenta “una grande opportunità per mettere a tema la strada lungo la quale l’Ateneo è incamminato, le tappe percorse e quelle ancora da percorrere. Nei fatti, sono proprio queste ultime che contano”.

Guardare avanti con un’idea e una cultura di sviluppo che non può prescindere dal rinnovamento: questo il concetto di fondo sui cui il Rettore ha insistito, lunedì 20 novembre 2017, alla presenza di numerose Autorità, Rettori, docenti e studenti.

Cambiare si può, si deve. Con buon senso, spirito critico, apertura al nuovo, sano pragmatismo, assunzione di responsabilità. Senza temere i problemi di sviluppo che necessariamente vengono e verranno a determinarsi e ricordando che flessibilità e capacità innovativa sono le leve fondamentali per il successo.

“Un’Università come la LIUC “delle imprese per le imprese” è l’ambito elettivo della “cultura di sviluppo” – ha ricordato il Rettore – Lo è per genesi del progetto stesso, per la storia che ha alle spalle, per il sistema di relazioni in cui è immersa, per i valori imprenditoriali di cui è permeata”.

Visconti ha ricordato il rapporto dell’Ocse Education at a glance: la bassa quota di laureati in Italia (18% della popolazione adulta, pari alla metà della media Ocse) e, nonostante l’importante recupero di posizioni dal 2000 in poi, il divario nella quota di laureati nella fascia tra i 25 e i 34 anni (26% contro il 43% della media Ocse). Formulare e realizzare l’idea di sviluppo di un’istituzione universitaria, risulta doveroso. Significa “lavorare su interrogativi di portata strategica”, ha evidenziato Federico Visconti.

Vuol dire chiedersi quali sono le grandi direttrici di cambiamento del mercato del lavoro; quale proposta di valore risponde a tali bisogni; come indirizzare e ottimizzare gli investimenti in ricerca; quali sono le competenze accademiche e gestionali funzionali al progetto; cosa vuole dire, nei fatti, internazionalizzare la formazione universitaria.

Significa avere una visione, “pensare in grande, essere ambiziosi, cambiare paradigma”, ha annotato Visconti.
I fronti di attività su cui spinge quello che il Rettore ama chiamare “il cantiere LIUC” sono: l’Offerta formativa e didattica, Ricerca e Dottorati, LIUC Business School, Faculty, Relazioni istituzionali. I risultati non mancano: dall’andamento positivo delle iscrizioni (superata la soglia dei 2.000 studenti), al posizionamento più che buono in alcuni ranking internazionali riguardo il tempo di attesa per l’inizio dell’attività lavorativa dopo una laurea alla LIUC; dall’attenzione alla mobilità sociale, allo sviluppo del career service con sempre più servizi proposti (basti solo pensare alle 6.500 imprese in rete e alle 3.800 offerte di lavoro gestite annualmente). E, ovviamente, la progressione nelle relazioni internazionali (128 accordi in 41 Paesi con una crescita del 60% degli studenti interessati ad Erasmus, Exchange, Doppio titolo dall’anno accademico 2014 – 2015 ad oggi).

Un rinnovamento da portare avanti e da gestire. Come? Il Rettore ha risposto citando le parole con cui Manzoni commenta il modo in cui si stava affrontando la peste: “Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. E ancora, a chiusura del suo intervento: “Guardandoci intorno e pensando alla situazione del nostro Paese non ci dovrebbe essere spazio per i luoghi comuni, le difese dei territori, le paralysis by analysis, le liturgie e le miopie. E invece, come ai tempi dei Promessi Sposi, lo spazio c’è e tende il più delle volte ad assumere una forma ben precisa, quella della palude del “Si è sempre fatto così!” In quanto istituzione universitaria, la LIUC ha una responsabilità nei confronti dei giovani e delle loro famiglie, verso gli stakeholders e l’intera società civile. Non può guardare indietro e non può stare alla finestra. Deve tirare diritto, innovando, investendo, puntando ai fatti. Con tanto buon senso, sfidando il senso comune”.

In avvio di cerimonia, è stato il Presidente della LIUC Michele Graglia a dichiarare: “Pensare internazionale è un bisogno che nasce da lontano, dalle radici del fare impresa della nostra comunità. I numeri statistici della provincia di Varese testimoniano la nostra grande predisposizione ad andare al di là dei confini”. Certo, internazionalizzarsi ha avuto significati diversi negli anni: “Oggi, fortunatamente non è più visto solo come la volontà di speculare sui costi, delocalizzando e impoverendo casa nostra in nome di un profitto a beneficio di pochi. E’ ormai evidente a tutti, e provato dai numeri, che aprire le imprese ai mercati globali è l’unica via per proseguire una crescita in grado di garantire anche maggior sviluppo e lavoro nei luoghi dove l’impresa è nata”. Offrire una formazione aperta al mondo “è una priorità assoluta per la nostra realtà universitaria – ha riconosciuto Graglia – per questo da sempre è stata data grande attenzione alle opportunità di scambio che possiamo offrire ai nostri studenti”.

Opportunità cresciute nel tempo e apprezzate dai giovani (il 96,5 % degli studenti in uscita e il 93,7% di quelli in entrata hanno affermato di essere stati “molto soddisfatti o soddisfatti” dalle esperienze fatte). “Questa forte ed ineludibile spinta verso l’estero, verso tutto ciò che è internazionale non sia motivo di desiderio di fuga dalle nostre radici, dal nostro territorio. Essere cittadini del mondo non significa perdere il contatto con la cultura, le tradizioni, la storia, i valori del nostro Paese”.

Il Rettore Visconti in questa giornata ha voluto accanto a sé il prof. Jean Philippe Ammeux, Dean della IESEG School of Management di Lille, ateneo tra i partner “storici” della LIUC per la mobilità degli studenti. “La nostra missione è preparare persone qualificate per il mercato del lavoro soddisfando le necessità della società e le aspirazioni dei giovani” ha detto Ammeux. A lui il compito di tracciare le tre linee strategiche dell’internazionalizzazione in ambito universitario, ovvero contenuto dei programmi, immersione internazionale e processo di apprendimento interculturale. “Padroneggiare le competenze interculturali – ha aggiunto – è un elemento chiave per preparare individui che dovranno operare in un contesto internazionale. E ricordiamo che gli studenti stranieri, nel proprio campus, creano opportunità di scambio per tutti, in particolare per gli studenti locali”.

Certo, il costo di strategie per l’internazionalizzazione è relativamente alto: “tutti gli stakeholders devono essere coinvolti nel processo, servono risorse ben precise e, non da ultimo, la lingua deve essere l’inglese per tutti”.

Prezioso il contributo di Fabio Rugge, Rettore dell’Università degli Studi di Pavia e Responsabile delle Relazioni Internazionali della Conferenza dei Rettori, al quale è stata affidata la Prolusione: “Internazionalizzazione è una parola di successo, un vocabolo che “viaggia alla grande”, tuttavia la situazione degli atenei italiani rispetto a questo tema presenta più ombre che luci”. I dati parlano chiaro: “Nell’anno accademico 2016/17 la percentuale degli studenti stranieri iscritti alle Università italiane si attestava attorno al 4% (un quarto di quelli presenti in Francia e un terzo di quelli in Germania). Il maggior numero di immatricolati stranieri, negli ultimi 5 anni, è originario di Albania, Cina, Moldavia, Romania, Ucraina, mentre solo il 16% proviene da Paesi ad alto sviluppo economico. Ancora, solo l’1% dei docenti di ruolo che insegnano nei nostri atenei è straniero”. Un quadro decisamente non roseo, a cui Rugge ha aggiunto una serie di considerazioni relative alle principali criticità che non ci permettono di essere realmente attrattivi per i giovani stranieri: “Tra gli altri – ha detto – la rigidità dei nostri corsi di studio e del nostro calendario accademico, la mancanza di corsi in lingua inglese che siano realmente internazionalizzati (almeno il 25% della classe composta da studenti stranieri), la carenza di risorse”.
C’è molto ancora da fare e le Università italiane e lombarde devono integrarsi
e cooperare tra loro per competere nell’orizzonte globale. “Il pianeta ha sete di acqua, fame di cibo ma anche un forte bisogno di conoscenza, di giovani donne e uomini che lo facciano prosperare grazie a una moltitudine di nuove professionalità e a un senso condiviso di cittadinanza terrestre – ha chiosato Rugge – Il numero di studenti universitari crescerà nel mondo, da 99 milioni di adesso a 414 milioni nel 2030. Noi vogliamo che le opportunità di alta formazione siano offerte nel modo più ampio possibile a tutti quanti vi aspirano con motivazione, tenacia, talento. E’ questa l’organizzazione di Università che ci auguriamo, questa la nostra internazionalizzazione davvero”.

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Pubblicato il 20 Novembre 2017
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