L’amore per Milano nelle parole di Robecchi

Una settimana fa è uscito "Follia maggiore", il quinto romanzo del giornalista e autore milanese. Che ha presentato la sua ultima opera alla libreria Ubik venerdì 19 gennaio

Alessandro Robecchi alla Ubik

Milano, la borghesia, la musica e il rimpianto sono gli ingredienti principali del nuovo romanzo di Alessandro Robecchi.

L’autore fa il pieno alla Ubik venerdì 19 gennaio in una sala pienissima con una prevalenza femminile a partire dalla intervistatrice, Cristina Faravelli. Proprio lei parte dall’amore che ha un taglio quasi sociale nell’ultimo libro, Follia maggiore per la Sellerio, uscito una settimana fa.

Robecchi non si risparmia e tiene banco per quasi due ore. Tratteggia i suoi personaggi, che ogni tanto, come il protagonista, “gli scappano un po’ di mano”, e parte proprio dalle relazioni tra i protagonisti del romanzo.

«È una storia di rimpianti più che di amori. Tutto ha inizio con la morte di una professoressa, Giulia, che all’inizio sembra causata dopo uno scippo. Un anziano signore, Serrani, ricorda la passione vissuta con quella donna e così ingaggia Monterossi per scoprire che vita facesse quella sua vecchia fiamma. Di mezzo c’è la figlia che ha l’ambizione di fare la soprano in un teatro internazionale».

A Milano piove sempre e il libro affronta spesso il tempo che scorre. «Anche questo – dice l’autore – è presente insieme al rimpianto. Monterossi sente che l’età media è lunga circa 4000 settimane e questo fa ancora più effetto. Il tempo che passa è un tema anche dentro una città cupa in cui piove molto».

Monterossi invecchia in questo quinto romanzo e diventa più duttile. Raccontare lui permette a Robecchi di far due battute sulla tv spazzatura. La sala ride anche senza bisogno che si facciano nomi, perché basta sapere che si parla di Canale 5 al pomeriggio.

«Bob Dylan è il vero amore di Monterossi visto che il nostro cantante è quello dell’abbandono. Questo mi aiuta perché nelle canzoni ha sempre la frase giusta».

L’altro protagonista è Milano: «Io sono per le città metropolitane, in campagna scapperei. Io amo Milano e la difendo perché ci sono tanti pregiudizi sulla città. È troppo tempo che non è raccontata bene. Dopo gli anni Ottanta si è rappresentata solo una certa città. La moda, il design, il salone del mobile, ma non basta a raccontarla per quello che è. Da milanese mi indignava vederla rappresentata solo come fosse tutta via Montenapoleone. Invece è una città dalle tante facce. In mezzo c’è il ceto medio che oggi è spaesato. Quello che ho scritto ha anche un taglio sociale con quella piccola borghesia che non vuole perdere uno standard di vita a cui si è abituata. Il pane e le rose, queste ultime che valgono tanto quanto il pane. C’è una contrazione dei desideri e questo è vissuto come un piccolo dramma. Nella vita di una classe sociale abituata a migliorare questo colpisce e se ne parla poco. Zola descriveva alla fine dell’Ottocento quello che sta vivendo la piccola e media borghesia. Sono tante piccole cose che abbattono l’umore».

La colonna sonora del libro questa volta ha protagonista anche la lirica: «Ho iniziato ad ascoltare Rossini e mi sono incuriosito della sua vita. Il nostro grande romanzo alla fine dell’Ottocento era la lirica. La racconto perché volevo levargli quella patina di noia. Rossini raccontava cose scostumate per l’epoca: un po’ come i Nirvana al loro tempo, altro che Vasco Rossi. Lui era rivoluzionario e passaggi meravigliosi. Quanto ci siamo persi? Mi è partita una ossessione per la lirica e la volevo raccontare». Robecchi scherza sulle “cose porchissime” che si trovano nelle opere del Settecento e Ottocento.

C’è molto dello spirito giornalistico nel racconto. Siamo dentro la cronaca nera e quindi di mezzo c’è sempre il lavoro dei poliziotti, degli avvocati e della Magistratura.

«In un mondo ideale – racconta Robecchi- legge e giustizia sono pari. Nella realtà non è così. Tra legge e giustizia ci sono intercapedini fatte di tante cose compresa una sceneggiatura che è molto diversa dalla nostra idea di giustizia. A me interessa mettere le mani in quelle crepe. Io sarei terrorizzato a stare in quella condizione di imputato. Entri in una macchina più grande di te».

Nei racconti c’è tanto ritmo rock. La domanda dal pubblico permette a Robecchi di chiudere con un consiglio agli insegnanti: «fate leggere ad alta voce i ragazzi quando scrivono. Lo faccio sempre per capire se le parole sono quelle giuste perché il lettore legge con la testa e capisce se il testo scorre. Dare ritmo è importante anche quando le scene d’azione sono quelle più difficili».

Marco Giovannelli
marco@varesenews.it

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Pubblicato il 19 Gennaio 2018
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