Cos’è successo nei 4 (turbolenti) anni con i profughi in via dei Mille

Dai primi arrivi alle grandi proteste, dalle promesse alle occupazioni. Ecco tutto quello che è successo dall'estate del 2014, quando l'ex Cral Enel di via dei Mille si è trasformato in un centro di accoglienza

La chiusura del centro di accoglienza di via dei Mille

Fino all’estate del 2014 quel palazzone in via dei Mille a Busto Arsizio in pochi lo conoscevano: i dipendenti Enel che lì andavano in mensa, quelli che frequentavano il Cral aziendale, qualche parente e amico che giocava a tennis sul campo nel giardino. E poi naturalmente anche Katiusha Balansino e Roberto Garavello, che devono aver notato la grande potenzialità di quel palazzo (mezzo) vuoto.

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Chiuso il centro di accoglienza di via dei Mille 4 di 31

Sono stati loro ad accendere i riflettori su quell’anonimo palazzo, iniziando ad affittare tramite la Kb Srl -società che fino a quel momento si dedicava all’allevamento- qualche appartamento e arrivando alla fine a comprarsi l’intero palazzo. E’ successo tutto in una notte d’estate del 2014 quando un primo gruppo di 25 richiedenti asilo arrivò in città. Anche in Comune nessuna sapeva nulla e il Sindaco di allora, Gigi Farioli, prese carta e penna per chiedere alla Prefettura di scegliere un’altra destinazione. Ma quelli erano giorni difficili, giorni nei quali sulle coste italiane sbarcavano quotidianamente migliaia di persone. Una vera e propria emergenza per la quale ogni giorno servivano nuovi posti letto e così lentamente -ma neanche troppo- in via dei Mille il numero dei profughi raddoppiò, triplicò, quadruplico. Alla fine, all’apice dell’emergenza, in quello stabile si sono toccate punte di oltre 200 ragazzi.

Ma le cose all’inizio sembrava andassero bene. I gestori erano ben felici di aprire le porte del palazzo a politici e giornalisti spiegando le tante attività cantiere e mostrando grande disponibilità verso l’integrazione dei ragazzi. Quando ad esempio i profughi misero nero su bianco la propria disponibilità a lavorare gratuitamente per la città la Kb disse di volersi fare carico delle spese di assicurazioni e attrezzature per tutte quelle associazioni che li avessero chiamati. Non ci fu la coda, almeno all’inizio, ma tutto procedeva e nessuno sospettava quello che da lì a poco sarebbe successo in quella polveriera.

La miccia era lunga: centinaia di giovani in un unico luogo, poche attività da fare, tante nazionalità e abitudini da far convivere, le lungaggini della burocrazia e qualche problema con lo staff. E così la bomba -la prima- scoppiò a luglio del 2015, quando nel centro ci fu una protesta ma in quel caso i gestori minimizzarono e bollarono l’episodio come frutto di una semplice incomprensione. Ma le incomprensioni si sommarono e la situazione all’interno del centro si fece davvero insostenibile.

A settembre del 2016 i richiedenti asilo scesero in piazza, bloccando il traffico in piazzale Plebiscito. Una disperata richiesta di attenzioni con un doppio obbiettivo: ottenere i documenti d’identità e denunciare le condizioni del centro. In quell’occasione i migranti fecero anche entrare i giornalisti negli appartamenti per dimostrare che le loro parole erano supportate dai fatti, e in effetti così era.

Quella protesta riaccese i riflettori su via dei Mille: i richiedenti asilo chiedevano un nuovo gestore, la Prefettura si fece garante per le carte d’identità e il sindaco pensò di assumere la gestione diretta del centro. Ma ben poco cambiò e la fiamma tornò a covare sotto la cenere per un altro anno, con la Kb che ha continuato senza sosta a ricevere richiedenti asilo.

La Prefettura si è trovata per anni in una brutta posizione: da un lato i sindaci -di ogni colore politico- protestavano contro l’arrivo dei profughi e dall’altro nessuno voleva farsi carico della gestione diretta attraverso gli Sprar. In tutto questo c’era una sola certezza: la Kb che con i suoi centri in tutta la Provincia era sempre pronta a rispondere ai nuovi arrivi (incassando i relativi contributi). Un fragile sistema che si è rotto definitivamente a luglio del 2017 con una grossa protesta scoppiata nel centro.

I profughi di Busto Arsizio protestano a Varese

Dopo alcuni giorni di occupazione dello stabile i profughi di Busto presero infatti la decisione di andare a parlare di persona con il Prefetto. Raccolsero tutte le loro cose e dietro uno striscione con scritto “non vogliamo più Kb” presero il treno per Varese e si accamparono nel piazzale della stazione per un giorno e una notte. Ma questa volta qualcosa si mosse davvero e se da un lato non fu possibile sostituire la Kb, dall’altro nel giro di qualche giorno arrivarono le prime carte d’identità.

Ma poi dai primi giorni del 2018 tutto ha preso una rotta diversa con la stessa Kb che non ha partecipato all’ultimo bando della Prefettura per l’assegnazione dei profughi in arrivo in provincia. E così, grazie al calo dei flussi in arrivo nel Paese, è arrivata la decisione di chiudere tutti i centri gestiti dall’azienda in provincia e trasferire tutti i profughi. Quello di via dei Mille è stato il primo, per gli altri è questione di giorni.

Ma la storia non è ancora finita. Se infatti i profughi esultano per essere spostati in altri centri chi vivrà momenti difficili sono i dipendenti della Kb, soprattutto quei richiedenti asilo che hanno rinunciato all’accoglienza perchè assunti dalla stessa Kb e che ora si trovano senza lavoro e senza protezione. E poi certo, c’è l’indagine della magistratura ancora in corso per il reato di truffa ai danni dello Stato che vede 20 persone indagate. Ma quello è un capitolo ancora tutto da scrivere.

Marco Corso
marco.corso@varesenews.it

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Pubblicato il 15 Marzo 2018
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