“Aldo Moro aveva la capacità di scrutare nelle pieghe profonde della società”

Nel 1992 Giuseppe Adamoli, politico di lungo corso e militante del Partito Democratico, era chiamato “l’ultimo dei morotei”. Oggi ricorda il presidente Dc a 40 anni dalla sua morte

Giuseppe Adamoli

Ancora nel 1992 Giuseppe Adamoli, politico di lungo corso e militante del Partito Democratico, era chiamato “l’ultimo dei morotei”, con riferimento alla corrente della Democrazia Cristiana che guardava alla linea politica di Aldo Moro. Oggi, a distanza di 40 anni dalla morte del presidente della Dc e dal suo ritrovamento nel baule della Renault 4 parcheggiata in via caetani dalle Brigate Rosse, Adamoli lo ricorda ancora con grande commozione. Ecco il suo ricordo di Aldo Moro, politico e punto di riferimento ideale negli anni di gioventù nella Democrazia Cristiana:

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Moro “era” la capacità di scrutare nelle pieghe profonde della società; la passione civile di trasmettere valori, voglia di ragionare e saper dire dei no; l’ansia di capire i giovani e ciò che li tormentava; l’idea di non sentirsi appagati dai risultati della politica; il progetto di uscire dalla “democrazia difficile” con l’allargamento delle basi democratiche del governo e con la piena attuazione dei principi della Costituzione.

Si è molto equivocato sul linguaggio di Moro, ritenuto troppo astratto e teorico. In realtà i suoi concetti potevano anche apparire difficili, non perché confusi ma perché profondi. Non riguardavano solo le istituzioni, ma il Paese reale. Voleva aprire scenari nuovi nel rapporto tra il potere e i cittadini. Per questo fu inghiottito come “Giona nel ventre della Balena” (Manuel Vàzquez Montalbàn).

aldo moro

E per me, ragazzo democristiano, rappresentava il punto di riferimento ideale. L’onorevole Luigi Michele Galli mi portava a Roma a riunioni “confidenziali” di poche persone dove Moro tratteggiava l’orizzonte politico, ero il più giovane di tutti e lo ascoltavo come si ascolta un profeta. Proprio così: mi sembrava il profeta della nuova democrazia italiana.

Ho letto e riletto il famoso discorso al congresso di Napoli (1954), dove Moro aveva parlato per oltre sette ore per spiegare la necessità di passare dal centrismo al centro-sinistra. Era una delle possibili risposte alla “crisi di crescita” della società, non solo un modo per avere una maggioranza più larga in Parlamento.

La stessa ansia di “cambiamento nella continuità possibile” si sarebbe colta anni dopo nella costruzione della “solidarietà nazionale” con il Pci, contrastata sia sul piano interno che su quello internazionale ma ritenuta da lui indispensabile per raggiungere la democrazia compiuta e per raccogliere la sfida delle trasformazioni economiche mondiali da finalizzare ad una maggiore giustizia sociale.

C’è una frase di Moro molto riportata in tanti libri che illustra benissimo la sua personalità umana e lucidità di visione. Quando Berlinguer lo implorava di guidare lui, e non Andreotti, il governo della storica intesa, Moro era perentorio “No, dovete accettare Andreotti, perché gli americani si fidano più di lui che di me”. Generosità personale e lungimiranza politica.

Cosa avrebbe fatto Moro in questi anni? Esercizio spericolatissimo che purtroppo sento fare troppo spesso con incredibile faciloneria. Epoche diversissime e non comparabili. Certo ci avrebbe aiutato a capire come è cambiato e sta cambiando l’Italia nelle viscere. Compito impervio e necessario.

Giuseppe Adamoli

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 09 Maggio 2018
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