“Si modifichino le regole e si assumano giovani medici non specializzati”

Il Comitato permanente in difesa dell'ospedale di Cuasso analizza la situazione alla luce delle richieste dei medici ascoltati in commissione sanità

cuasso ospedale

Il Comitato spontaneo in difesa dell’Ospedale di Cuasso commenta la posizione dei medici che sono stati ascoltati in Commissione sanità della Regione:

«Leggiamo con attenzione gli articoli a seguito dell’Audizione presso la Commissione regionale della sanità di una rappresentanza dei medici ospedalieri provinciali.

Molti punti esposti ci trovano d’accordo, in particolare le misure urgenti per reperire personale medico, infermieristico e tecnico.

Ci preme osservare come nessuno dei soggetti in campo abbia sollevato una critica all’operato ventennale dell’Università dell’Insubria determinata a sviluppare le specializzazioni solo in ambito chirurgico a scapito dell’area medica e riabilitativa.

Sottolineiamo che vent’anni di aziendalizzazione nel pubblico, hanno depauperato tutti gli ospedali periferici trasferendo negli ospedali centrali di riferimento tutte le attività specialistiche proprie del territorio, spazio prontamente occupato da strutture ambulatoriali private.

Sottolineiamo che va data specificità agli ospedali pubblici territoriali ma non accettiamo che la soluzione sia una sanità ripensata esclusivamente sulla base del criterio delle risorse disponibili.

L’auspicata rete ospedaliera e sanitaria deve superare il preconcetto che nei piccoli presidi non si possano sviluppare importanti occasioni di carriera e il nostro Ospedale di Cuasso è sempre stato fucina di professionisti e professionalità sviluppate sul campo. Quindi, che si modifichino le regole generali e che si dia spazio ad assunzioni di giovani medici non specializzati.

La proposta di sanità fatta di “rete e qualità” avrebbe avuto un senso se fosse stata presentata vent’anni or sono quando i piccoli ospedali territoriali avevano un’identità ed una molteplicità di offerta sanitaria. Proporlo oggi, con ospedali territoriali ormai svuotati della loro funzione, ha un altro recondito significato.

Tale ricetta proposta, invece paradossalmente è quella di proseguire nell’accentramento con una nuova riorganizzazione che elimini definitivamente i servizi residuali presenti sul territorio.

La legge 23, promulgata dalla giunta regionale, ha prodotto provvedimenti che contrastano le buone intenzioni iniziali – come la “presa in carico” dei pazienti cronici.

Nessun POT (presidio ospedaliero territoriale) pubblico è stato attivato nella nostra provincia lasciando campo libero a nuove esternalizzazioni.

Questo attivismo dei medici ospedalieri – giunto un po’ in ritardo – speriamo porti ad invertire la tendenza che finora ha portato a considerare che solo nei grandi ospedali centrali si possa fare eccellenza sanitaria.

Quello che è mancato è la sinergia tra ospedale centrale e territorio. Sinergia che in qualsiasi azienda privata è il motore per raggiungere buoni risultati finali.

I vincoli di bilancio e le limitazioni, imposti dai governi centrali, erano e sono noti a tutti gli operatori del settore, quindi non sono una novità scoperta in sede di audizione, e vanno assolutamente rimossi.

Troppo facile individuare le criticità dei presidi ospedalieri sorvolando sempre sulle responsabilità personali di chi ha prodotto negli anni questa situazione.

Esiste un altro livello critico che genera perdite incalcolabili ed è quello legato alla non funzionalità generale di sistema con riferimento preciso all’efficacia delle cure nel pubblico e soprattutto nel privato. Ne è prova la situazione caotica dei P.S. diventati collettori di tutti i bisogni sanitari non più soddisfatti dalla rete ospedaliera e territoriale, dalla medicina specialistica e dalla medicina di base.

Se di rete dobbiamo parlare, è qui da dove si deve ricominciare ed investire».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 16 Luglio 2018
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