Nel diario ritrovato la storia dell’eroe della resistenza Brusa Pasqué

Un progetto che porterà alla pubblicazione di un libro che avrà come titolo “La Scelta” in onore di quella che fece la famiglia Brusa Pasqué non voltando le spalle a chi veniva brutalmente perseguitato

la scelta brusa pasque

Sergio Brusa Pasqué muore il 14 novembre del 1990 all’età di 67 anni. La figlia Elena ritrova un diario del padre che era stato custodito dalla moglie, ben rilegato, del periodo in cui Sergio si era rifugiato in Svizzera dal ‘43 al ’45 per sfuggire ai nazisti che avevano occupato Varese nel settembre del ’43.

Da questo antefatto nasce un progetto che ha coinvolto un gruppo di giovani e che porterà alla pubblicazione di un libro che avrà come titolo “La Scelta”.

Il velo sul progetto è stato tolto qualche giorno fa durante una presentazione pubblica ma il lavoro che c’è dietro va avanti da diverso tempo e sarà pubblicato probabilmente entro la fine dell’anno.

Il diario originale è di difficile lettura per la calligrafia molto piccola. Il lungo lavoro di trascrizione durato oltre 4 anni è stato portato avanti dalla figlia Elena che ha preso in mano i diari del padre e ha coinvolto inizialmente Ileana Baroffio e in piccola parte Lorena Abbiati che erano state le due segretarie storiche del padre. Così furono trascritte 800 pagine.

Allo storico Franco Giannantoni Elena diede, invece, l’incarico per la ricerca storica e per le correzioni dei nomi dei protagonisti spesso lasciati con l’ iniziale di nome e cognome. Lui impiegò oltre 5 anni per consegnare a Elena il lavoro di ricerca fatto per ricostruire i fatti realmente accaduti e andare oltre alle parole. Ma le pagine erano troppe: 800 pagine di diario e quasi 400 note.

L’obiettivo, dunque, è diventato quello di ridurre le pagine. E cosi una decina di ragazzi tra cui i nipoti di Sergio e i loro amici e figli dei loro amici hanno collaborato a correggere e tagliare il diario per renderlo leggibile da parte dei loro coetanei a cui il testo sarà rivolto.

Il libro si chiamerà “La scelta” in onore di quella che fece la famiglia Brusa Pasqué non voltando le spalle a chi veniva brutalmente e ingiustamente arrestato o ammazzato per difendere le proprie idee o per tradizioni religiose. Hanno rischiato la loro vita senza mai vantarsi e dopo la guerra senza ricordarlo.

I contenuti del diario:

Sergio Brusa Pasqué, nato nel 1923 a Varese, a 19 anni era scappato in Svizzera perché colpito da mandato di fucilazione dei tedeschi che si erano insediati a Varese da fine settembre, dopo l’Armistizio.
Alfredo Brusa Pasqué , il padre , classe 1893, era “ Capitano del Genio” con medaglia al valore per meriti riportati nella prima guerra mondiale, e per questo era rispettato anche durante il fascismo, nonostante fosse socialista e deputato dal 1919 per la provincia di Como.
Collaboro’ tra il 1938 e il 1943 con Calogero Marrone nell’ aiutare gli ebrei e i dissidenti a scappare in Svizzera . Calogero Marrone ( che per questa attività mori a Dachau nel 45), procurava i documenti falsi –veri ( provenivano dall’Ufficio anagrafe) e Alfredo ospitava in casa sua, in Piazza XX Settembre, gli ebrei e i fuggitivi, con l’aiuto dei giovani figli, Sergio ed Elda, e della moglie Santina, maestra elementare di Casbeno, ospitandoli anche nello studio in Via Magenta. L’organizzazione era fatta in modo tale che ogni componente sapesse solo un pezzo del percorso cosicché, anche sotto tortura, nessuno avrebbe potuto parlare.
In pochi mesi , nel 1943, furono circa 45.000 gli italiani, ebrei, antifascisti o perseguitati a scappare in Svizzera da tutte le frontiere varesine soprattutto dopo l’arrivo dei tedeschi che rastrellavano le città.
Erano strettamente legati anche a Don Franco Rimoldi chiamato da loro, per la sua mole, Don Carnera, che era parroco dell’oratorio di Varese in Via San Francesco e fondatore di una Organizzazione Soccorsi Cattolici Antifascisti Ricercati (OSCAR)
Il giovane figlio Sergio, diciannovenne fu costretto a scappare in svizzera come il figlio di Marrone ma riusci a uscire dalla casa di accoglienza dei rifugiati, denominata “casa Italia” grazie alla sua bravura e passione per la Pallacanestro che gli consenti di andare a vivere a casa dell’allenatore di basket del Lugano. Dopo la guerra Sergio fondo la Pallacanestro Varese cosi come è noto nei libri che raccontano la storia della storica squadra varesina.
Questo gli permise di lavorare e di mettere in comunicazione i partigiani della Valle d’Intelvi e quelli della Val d’Ossola e portare loro armi e soldi provenienti dagli aiuti americani che erano di base a Campione d’Italia (OSS). Per due anni fu’ un instancabile cronista di eventi riportati dalla libera stampa , da radio Londra o da tutte le testimonianze di chi sopravvissuto riusciva a scappare dal carcere di San Vittore o da lager in Germania o dall’italia.
Verificando i contenuti e facendo indagini in Italia e anche in Canton Ticino sulle attività clandestine di Sergio e Alfredo, Franco Giannantoni scopri anche molte altre attività che Sergio e Alfredo fecero durante il 1943-45 anni in cui tutti e due furono rifugiati in Svizzera e che Sergio non poteva raccontare nel diario.
Per oltre 18 mesi Sergio in Canton Ticino era noto come “casella postale 1848” Nel suo diario trascriveva le lettere più belle che doveva leggere per evitare che tra la posta che recapitava ci fosse qualche lettera che poteva servire per dare informazioni importanti ai nemici o ai partigiani e riferiva a suo padre e agli altri rifugiati politici anche loro segregati in casa Italia.
Lui giovane ventenne portava la posta, in bicicletta, dall’Italia e viceversa. Fu’ aiutato per la parte italiana da sua madre Santina che per questo motivo fu tradita da una vicina di casa e fu arrestata e messa in prigione dai tedeschi.
Lei, maestra elementare di Casbeno, fu’ miracolosamente salvata dal suo alunno che faceva il traduttore per i tedeschi e che tradusse volutamente e in modo diverso le sue parole ardite e coraggiose … per non essere ammazzato anche lui… disse scusandosi alla sua maestra.
Il nome di “battaglia” di Sergio era San Francesco , per il suo legame con Don Carnera e l’oratorio di Via San Francesco a Varese, e con questo nome teneva i collegamenti con i partigiani e molti preti del Canton Ticino e ticinesi molto sensibili e determinati che lo hanno aiutato a diffondere la posta e gli aiuti.

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Pubblicato il 19 Settembre 2018
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