Nella Shoah ci furono volenterosi carnefici varesini

Secondo Franco Giannantoni autore del libro “La Shoah, delitto italiano” c'è il rischio che la memoria dello sterminio degli ebrei venga totalmente rimossa

Avarie

Franco Giannantoni (foto) non è mai stato un allineato, sia come giornalista che come storico. Nei suoi numerosi libri dedicati alla Resistenza ha sempre raccontato luci e ombre di quel periodo, senza omissioni. Atteggiamento che gli è costato in più occasioni critiche e scomuniche da parte dell’Anpi. La vicenda dell’omicidio dei partigiani Gianna e Neri e dell’oro di Dongo e la morte di Walter Marcobi, causata dal tradimento di un partigiano, sono solo due esempi di suoi libri che ancora oggi fanno molto discutere. Fresco di pubblicazione è “La Shoah, delitto italiano” (edizioni Amici della Resistenza) libro sulla deportazione e lo sterminio degli ebrei italiani e varesini che sarà presentato alla libreria Ubik di Varese giovedì 20 settembre alle  ore 17 e 30.

Giannantoni, perché un libro sulla Shoah?
«Perché è stata rimossa, nonostante i vari giorni della memoria e commemorazioni annesse. È stato rimosso con troppa velocità il contributo dei volenterosi carnefici italiani nella persecuzione degli ebrei. E le assicuro che furono tanti. Dal punto di vista politico, prefetti, questori e podestà aderirono e trasmisero senza esitazioni gli elenchi degli ebrei ai nazisti. C’è la responsabilità collettiva di una società fatta da solerti impiegati, funzionari, ferrovieri e carcerieri. Insomma, l’adesione alla caccia all’ebreo fu quasi totale. C’è una testimonianza di Primo Levi che, in attesa di essere deportato dal campo di Fossoli ad Auschwitz, si rivolge a un gendarme italiano, che controllava i convogli con zelo, con queste parole: “Si ricordi di quello che sta vedendo, si ricordi che lei ne è complice, e si comporti di conseguenza”. “Ma che posso fare io?” chiede l’uomo. “Faccia il ladro, è molto più onesto” rispose Primo Levi».

A Varese cosa accadde?
«Gli amministratori e la borghesia ariana non ebbero un attimo di esitazione nell’individuare e sequestrare i beni ebraici, anzi, alcune famiglie come i Mayer, vennero denunciate da queste persone per impadronirsi dei loro averi. Varese viveva in un clima di antisemitismo diffuso. Non dimentichiamo che a dirigere la “Cronaca Prealpina” di allora c’era Nicolò Giani, il fondatore della scuola di mistica fascista, che dalle pagine di quel giornale condusse una violenta campagna antisemita».

E la comunità ebraica come reagì?
«Gli ebrei italiani erano molto integrati, avevano combattuto nella prima guerra mondiale, alcuni erano dei veri e propri eroi. La comunità ebraica varesina non era numerosa, contava 163 persone, per lo più stranieri che arrivavano dalla Germania,  Cecoslovacchia e Russia, per sfuggire alle restrizioni imposte nei loro paesi. In Italia l’escalation dei provvedimenti razziali fu notevole, ben 189 disposizioni che andavano dall’espulsione  degli ebrei dalle scuole e dalle professioni fino al divieto di poter ascoltare musiche di Mendelsohn. Una privazione totale di diritti contro la quale  la comunità cercò di organizzarsi. Con l’occupazione tedesca però cambia tutto, c’è un salto terribile: si passa dalla privazione dei diritti alla privazione della vita. Gli ebrei sono nemici e stranieri e scatta l’ordine di polizia per il loro concentramento. Il prefetto Giacone di Varese non se la sentì di concentrare gli ebrei nelle colonie di Boarezzo e di Busto Arsizio anche perché non aveva risorse sufficienti. Allora prese i primi trenta dell’elenco e li spedì nel campo di Fossoli».

A un certo punto però gli arrivi a Varese aumentarono
«Secondo il Cdec (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, ndr) in quegli anni transitano in provincia di Varese tra i 6mila e i 7mila ebrei, perché le caratteristiche del territorio facilitavano il passaggio dei confini svizzeri, meno impegnativi rispetto a quelli di Como e Sondrio. Il problema era trovare documenti che dimostrassero l’arianità perché altrimenti scattava l’arresto immediato e la deportazione. Qui arrestarono ben 2.590 persone, tra cui anche l’attuale senatrice a vita Liliana Segre che appena tredicenne, con il padre Alberto e i cugini Ravenna, fu respinta ad Arzo in Canton Ticino da un militare svizzero. Il gruppo venne affidato alla guardia di finanza di Saltrio che a sua volta lo consegnò senza esitazione ai tedeschi. Molti ebrei furono vittime di tradimenti degli stessi passatori, come accadde a Goti Herskovits Bauer che, finita la guerra, prese parte al processo nei confronti dei suoi delatori. Non c’era però un reato specifico di caccia all’ebreo e così quei passatori, come molti altri, vennero condannati per truffa e uscirono di galera quasi subito, nel 1946, grazie a un’amnistia».

Che cosa accadrà quando i testimoni diretti della Shoah non ci saranno più?
«Credo che le commemorazioni, come la giornata della memoria, sfumeranno nella banalità per diventare giornate retoriche e patriottarde senza significato. Se pensiamo al 25 Aprile, le istituzioni lo stanno facendo da anni. Purtroppo si continua a prediligere la retorica».

Come si fa a trasmettere ai giovani i valori della Resistenza?
«Bisogna avere il coraggio di raccontare tutto, anche quello che non ci piace perché la Resistenza fu un fenomeno importante ma al tempo stesso complesso, contraddittorio e ambiguo. Affrontiamo queste tematiche senza sminuire quanto fatto da due piccole brigate partigiane, la Walter Marcobi e la Renè Vanetti. Erano poche decine di uomini mentre il resto di Varese era in ginocchio, una città che ha guardato in modo consenziente quanto avveniva nei confronti di ebrei e partigiani».

È vero che le ha scritto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella?
«Sì, perché nel libro si ricostruisce la vicenda della senatrice Liliana Segre. È stata una bella sorpresa».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 19 Settembre 2018
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Commenti

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  1. Castegnatese ora Insu
    Scritto da Castegnatese ora Insu

    in effetti è inspiegabile come nell’immaginario comune il “cattivo” sia sempre il tedesco.
    nella II GM gli italiani furono uguale se non peggio

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