Come gestire l’agonismo sportivo dei giovanissimi
Età, tempi, obiettivi, modelli: un percorso in quattro tappe per affrontare al meglio il passaggio all'attività agonistica
Quanta soddisfazione se il piccolo atleta è così bravo da spingere la società a chiedere che diventi un agonista. “Ma quella dell’agonismo è una scelta che i genitori devono ponderare e seguire con attenzione per evitare l’effetto contrario: il drop out“. A spiegarlo è Valeria Resta, docente di Psicologia dello sport all’Università dell’Insubria e tra i fondatori di Mind-room, che prende a modello l’organizzazione anglosassone e propone alle mamme e ai papà un percorso in quattro tappe per affrontare il passaggio all’attività agonistica.
CONFRONTO CON LA SOCIETÀ
Prima di prendere una decisione è bene che la famiglia si confronti chiaramente con la società per capire quali sono i passaggi previsti, gli obbiettivi, le selezioni e quindi lo stress cui il bambino, il ragazzo e quindi la sua famiglia, dovranno affrontare, per essere preparati sin da subito a gestire i tanti impegni, le soddisfazioni ma anche le possibili delusioni, che sono da mettere in conto.
L’ETÀ GIUSTA
L’età giusta per passare all’attività agonistica varia a seconda dello sport. “Nella ginnastica ad esempio si comincia già a 7-8 anni, e poi bisogna valutare – avverte la Resta – se l’obiettivo sono i risultati agonistici allora ha senso iniziare anche a 8 anni, se invece lo scopo è il benessere dal bambino si può partire anche a 12 anni“.
GRADUALITÀ
“Il consiglio è cercare dei percorsi graduali, evitando di passare all’improvviso da 1 a 4 allenamenti a settimana”, spiega la psicologa dello sport.
PREVENIRE IL DROP OUT
Il rischio di un’attività agonistica non ponderata bene è il “drop out”, l’abbandono precoce dell’attività sportiva, che avviene soprattutto in pre e prima adolescenza. Il problema nasce quando l’attività sportiva diventa troppo stringente, al punto da non lasciare spazio o tempo ad altri interessi, incluso lo studio.
“Per evitarlo bisogna dare attenzione a bilanciare bene vita privata e vita sportiva – spiega Valeria Resta – soprattutto nell’età adolescenziale si risvegliano altre esigenze, che pure hanno bisogno dei loro spazi, perché se negate o troppo represse rischiano prima o poi di trabordare e allontnare per reazione il giovane dallo sport”.
MODELLO ANGLOSASSONE
Un esempio da cui trarre spunto è certamente il modello anglosassone, dove la vita sportiva, anche agonistica, di bambini e ragazzi è intrinsecamente legata al percorso scolastico. “In Italia vive ancora la convinzione che l’impegno nello sport possa essere controproducente con i risultati scolastici, quando tutti gli studi in materia dimostrano esattamente il contrario – assicura la psicologa – All’impegno sul campo da gioco corrispondono buoni risultati sui libri. L’importante è riuscire a rendere sinergici percorsi sportivi e di studio, ad esempio riducendo i tempi dedicati agli spostamenti e inserendo aule o comunque spazi dedicati allo studio all’interno delle strutture sportive in modo che i ragazzi in attesa del loro turno per l’allenamento possano studiare anche in palestra o al campo”.
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