Lidia Macchi, la difesa di Stefano Binda ricorre in appello

L’uomo condannato in primo grado all’ergastolo per aver ucciso la ragazza 31 anni fa. Gli avvocati: “Non poteva essere al Sert a comprare droga”

Avarie

“Eccellentissima Corte d’Assise d’Appello di Milano”, l’intestazione che precede le formule di rito porta la firma di Sergio Martelli e Patrizia Esposito, due difensori di rango ben conosciuti a Varese e associati ad un nome – Stefano Binda – e ad un processo – Lidia Macchi – , che non è finito.

In questi giorni è stato difatti depositato alla Corte milanese il ricorso avverso la sentenza che il 24 aprile 2018 mise la parola “mai” al fine pena di Stefano Binda, condannato all’ergastolo con l’accusa di aver assassinato la sera del 5 gennaio 1987 la giovane studentessa Varesina a coltellate dopo aver avuto un rapporto sessuale con la ragazza.

Si è scritto e detto tutto su questa sentenza, le cui motivazioni sono state depositate lo scorso 21 luglio: quasi 200 pagine con cui la Corte d’Assise di Varese ha ricostruito i fatti dalle prime indagini subito dopo il rinvenimento del corpo di Lidia, le ipotesi investigative e la riapertura del caso che ha portato all’arresto del cinquantenne filosofo di Brebbia che ad oggi, da più di due anni, si trova in carcere a Busto Arsizio.

Ora le carte che potranno far riaprire lo spiraglio per l’imputato sono state depositate, e un primo dettaglio trapela dai legali, che hanno richiesto formale documentazione all’azienda socio sanitaria territoriale dei Sette Laghi di Varese per la ricostruzione storica di un fatto solo a prima vista banale ma che potrebbe avere un certo peso, secondo i legali Martelli ed Esposito, sulla decisione del giudice di secondo grado.

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La questione si risolve tutta in una domanda: che ci faceva Stefano Binda nel parcheggio fuori dall’ospedale di Cittiglio la sera del 5 gennaio 1987?

Secondo le motivazioni della sentenza Binda si trovava nei pressi del parcheggio dell’ospedale perché “voleva acquistare della sostanza stupefacente e si era recato davanti al SERT di Cittiglio, quello più vicino o tra i più vicini a Brebbia, per incontrare il suo pusher” (pagina 185).

«Peccato che lì, nel 1987, il SERT non c’era», spiega l’avvocato Patrizia Esposito, forte di una comunicazione dell’azienda socio sanitaria che conferma l’istituzione dei Sert con legge 162 del 1990. Ma non solo. Il trasferimento del servizio di sostegno ai tossicodipendenti in via Marconi 40 (la prima foto in alto) avvenne solo nel 1997, cioè esattamente dieci anni dopo i fatti; in precedenza – negli anni ’80 – «il servizio tossicodipendenze era presente a Cigttiglio, ma in un’altra parte dell’ospedale», conclude il legale.

Ma questo potrebbe essere solo uno degli aspetti su cui si basa il ricorso dei legali varesini, decisi a giocare fino in fondo la partita sull’innocenza di Binda.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 02 Ottobre 2018
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