Badili, acqua e fatica: la bonifica, la parte più dura della lotta all’incendio

Non bastano Canadair ed elicotteri a spegnere gli incendi. Serve anche tutta la fatica di uomini e donne che passano i boschi metro dopo metro per la bonifica

Non si vedono come i Canadair, non si sentono come gli elicotteri e non sono evidenti come le autobotti dei vigili del fuoco. Ma sono fondamentali per spegnere l’incendio: sono gli uomini e le donne dell’antincendio boschivo che si occupano della bonifica delle aree interessate dal fuoco.

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La bonifica non è importante, è fondamentale. Chi spegne gli incendi lo sa, perchè il fuoco è subdolo e anche se in superficie non si vedono più fiamme non è detto che sia spento. La brace può covare sotto il primo strato di cenere e rimanere lì in attesa di una folata di vento. Possono passare ore o anche giorni, ci si può anche convincere di aver battuto il fuoco. Ma alla fine la fiamma risorge, accende una foglia e parte l’effetto domino. Era successo un anno fa sul Campo dei Fiori ed è successo anche qui sulla Martica. Domenica sera in molti avevano sperato di aver battuto l’incendio ma alla fine il vento è arrivato e ha soffiato fortissimo, riaccendendo le fiamme e facendo percorrere al fuoco più di 100 ettari di bosco in una sola giornata.

Bombardato dal cielo con tonnellate di acqua alla fine le lingue di fuoco sono sparite ma, appunto, non è detto che siano state sconfitte. E così nei boschi il suono che c’è oggi è quello delle pompe. Dai mezzi antincendio della protezione civile partono lunghi tubi da cui esce acqua per spegnere le fumarole e inumidire terreno e piante, che non si può mai sapere cosa succederà di notte. Ma camion e Jeep non possono arrivare ovunque e neanche le manichette dell’acqua, ma la bonifica va fatta anche lì.

Come? Badili e rastrelli. Non c’è tecnologia, solo fatica e sudore. Girare le zolle, smuovere i cespugli ormai anneriti e spezzare i tronchi carbonizzati. È un lavoro faticoso, ma che tutti fanno con il sorriso e volontariamente. «Io faccio il panettiere, ho finito stanotte e ora sono qui» dice uno di loro con il passamontagna calzato in testa, che da bianco ormai è quasi nero. «Lo facciamo perchè lo vogliamo fare e sentiamo il bisogno di farlo» dicono. Poi il sole tramonta, tutti tornano alla base e poi -finalmente- a casa sperando che nella notte non squilli il telefono. Ma se succederà, non si tireranno indietro.

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Marco Corso
marco.corso@varesenews.it

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Pubblicato il 07 Gennaio 2019
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