La guerra di Francesco in Russia e quella di chi è rimasto a casa

Il 26 gennaio 1943 la battaglia di Nikolaewka, ultimo atto della "ritirata di Russia". Tra i soldati mandati in Urss c'era Francesco Ponti, di Induno Olona: anche la sua famiglia ha dovuto lottare per andare avanti

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«Mia mamma si è aggrappata a mio padre dicendogli di tornare al più presto, erano tanto innamorati… e non voleva staccarsi da lui. Quella fu l’ultima volta che vidi mio padre: avevo 5 anni». Francesca Ponti ha 82 anni e suo padre era Francesco Ponti, di Induno Olona: scomparve nelle nevi di Russia nel 1942, all’inizio della grande offensiva sovietica che travolse i soldati italiani sul fronte del Don.

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Furono mandati in 230mila, a invadere la Russia, per dar lustro a Mussolini, che voleva condividere con Hitler la “crociata” contro il comunismo sovietico. Con l’arrivo del 1942-43 la spedizione dell’armata italiana in Russia si trasformò in una immane tragedia, la peggiore dell’intera guerra. L’ultima battaglia la combatterono – 76 anni fa – gli alpini, il 26 gennaio del 1943, per sfondare le linee russe nel villaggio di Nikolaewka, da allora simbolo della tragica ritirata.
La spedizione fascista in Russia costò 75mila morti – moltissimi in prigionia in mano russa – e dispersi, oltre 40mila furono i feriti e i congelati. Tra i nomi di chi non tornò c’è anche quello di Francesco Ponti: “disperso”, dice una nota scritta a mano sul suo fascicolo nell’estate del 1943.

«Francesco era mio nonno» ci racconta la nipote Donatella Lancia Caldiero, che ancora oggi abita a Induno Olona e ci ha messo sul sentiero della memoria. Le foto custodite dalla famiglia restituiscono l’immagine di un ragazzo elegante in tempo di pace; al fronte invece ha i capelli al vento, quasi a compensare la goffa tenuta invernale del Regio Esercito italiano, e uno sguardo che ha un che di ironico, in mezzo a quella terribile avventura.
Del resto, Francesco Ponti era allora non un ragazzino, ma un uomo fatto e finito: nato nel 1915, era perito edile e aveva lavorato in una ditta di costruzioni a Milano di proprietà del cavalier Pietro Massari Pietro, guadagnava 1200 lire (una bella cifra, in anni in cui il sogno minimo era “avere mille lire al mese”, come diceva la canzone allora in voga). Nel 1936 era diventato anche padre di una bambina, Francesca.

Richiamato alle armi con il Terzo Reggimento Bersaglieri quando aveva 25 anni, il 22 giugno del 1940 fu mandato a invadere la Francia, nella prima operazione di guerra in cui già emersero le condizioni di drammatica inadeguatezza dell’esercito italiano (era estate, durò poche settimane ma sulle Alpi ci furono comunque 2151 congelati). Al 14 luglio, mentre la Francia occupata ricordava mestamente la presa della Bastiglia, tornò in Italia. Ma già un anno dopo, il 6 aprile del 1941, entrò in armi in Jugoslavia, mentre la Luftwaffe bombardava Belgrado.

Poi a luglio il ritorno in Italia, per meno di tre settimane prima di ripartire, questa volta per il fronte più lontano: quello della Russia sovietica. L’ultimo commovente incontro con la famiglia risale ai giorni prima della partenza, sul lago di Garda: «Siamo andati a trovarlo a Bardolino, lì ci hanno servito del cibo» ricorda appunto la figlia Francesca, che aveva da poco compiuto cinque anni ma ancora ricorda l’abbraccio tra il papà e la mamma.

In terra di Russia il Terzo Reggimento Bersaglieri finì, come il resto dell’Armata Italiana, a presidiare il tratto centro-meridionale del fronte sul fiume Don. L’estate aveva visto ancora qualche avanzata, ma già ad agosto c’erano stati i primi contrattacchi sovietici: le truppe celeri – i bersaglieri, ma anche la cavalleria – s’affannarono a tappare le falle alle spalle delle linee, che si estendevano per centinaia di chilometri (il Terzo Bersaglieri ebbe novecento feriti e trecento morti e dispersi, ricorda il varesino Fiorenzo Croci nel libro “In prima linea”). Con l’arrivo dell’inverno gli sconti si moltiplicarono e con essi le perdite: il Terzo Bersaglieri fu ancora impegnato in battaglie ed estenuanti trasferimenti (Ponti era diventato sergente sul campo). Non c’è spazio per le licenze: ricevette 584 lire e 70 centesimi, in cambio del mese di pausa che gli spettava e che non avrebbe mai avuto.

Alla metà di dicembre i russi attaccarono in forze, la 197esima divisione di fanteria sovietica sfondò le linee, seguirono giorni di ritirata e riposizionamenti. Quando terminerà la ritirata, ai pochi superstiti verrà chiesto dei loro commilitoni: qualche bersagliere si ricordava ancora del sergente Francesco Ponti durante lo scontro nel villaggio di Konowaloff, nei dintorni di Meschkoff (nell’immagine qui sopra: carta di operazioni del tempo). Era il 19 dicembre 1942.

A casa, a Induno Olona, le cose non andavano. La mancanza del capofamiglia aveva reso più dura la vita. Il 25 gennaio del 1943 – proprio mentre gli alpini si preparavano a dare l’assalto a Nikolajewka – la moglie di Ponti, Giuseppina Comolli, prese carta e penna e scrisse al comando dei Bersaglieri: “Domando a voi la cortesia se è possibile per tramite vostra avere sue notizie”, si legge nella lettera ancora conservata nel fascicolo militare di Francesco Ponti, all’Archivio di Stato di Varese.

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Era il dramma di chi era a casa, in attesa e alle prese anche con le necessità materiali. Racconta ancora la figlia Francesca: «Mia madre dopo un calvario di informazioni prese qua e là, dovette andare a lavorare e trovò lavoro alla passamaneria di Moroni Enrico, di Induno Olona. Finito il lavoro lì, prendeva il treno per Porto Ceresio e andava in Svizzera con il battello per Morcote (per integrare lo stipendio), a volte andava anche in bicicletta a prendere cioccolato, Emmental, the, sigarette che poi rivendeva. Contrabbando, e con tanti sacrifici per mandare avanti la baracca. Andava anche a Lodi o a Vercelli col treno, per prendere riso, farina, lardo, tutto quello che poteva esserci per sfamarci, rischiando anche lei stessa la vita».

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Anche la piccola Francesca dovette andare in collegio. «Sono stati anni duri e difficili, che hanno lasciato il segno», dice oggi. Solo nel maggio del 1947 la famiglia ricevette la paga arretrata del soldato: 210.516 lire. Il bersagliere Francesco Ponti invece riposava nelle nevi di Russia, per sempre.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 26 Gennaio 2019
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  1. Avatar
    Scritto da ccerfo

    Faccio solo notare che nell’articolo si dice che “il soldato Ponti divenne caporalmaggiore sul campo” ma nella foto della lettera scritta dalla moglie si legge chiaramente che chiede notizie del ‘sergente’ Ponti Francesco.

    1. Roberto Morandi
      Scritto da Roberto Morandi

      Grazie. Era, effettivamente, una imprecisione. Fu promosso caporalmaggiore a dicembre 1941, l’estate 1942 divenne sergente

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