Coca “killer”, in due a processo per omicidio

Una morte sospetta e forse riconducibile allo spaccio di polvere bianca assunta dalla vittima poche ore prima della morte. Nelle intercettazioni, l’uso dell’Aulin per tagliare “la roba”

Avarie

La sera del 26 aprile 2017 un uomo di 38 anni ebbe una crisi cardiaca nella sua casa di Ferrera di Varese. Venne chiamata l’ambulanza e l’equipaggio del 118 praticò i primi soccorsi con manovre rianimatorie: il paziente arrivò in ospedale nel cuore della notte, ma alle 7 e 30 del giorno dopo, il 27, venne constatato il decesso: arresto cardiaco.

Dagli esiti degli accertamenti medico-legali e dagli esami successivi il cuore risultò ingrossato, e vennero trovati nel sangue “valori di cocaina tali da giustificare un’azione cardiotossica sul cuore”; venne fatto l’esame dei capelli dal quale risultarono tracce di stupefacente compatibili con un uso cronico.

Una vita bruciata per la dose letale comprata poche ore prima, come sostiene l’accusa?

Oppure un decesso “normale”, a seguito dell’arresto di un cuore già provato da diversi stress dovuti all’uso ripetuto di droga pesante?

È questa la tesi invece sostenuta dall’avvocato Corrado Viazzo che difende i due imputati per omicidio come conseguenza di altro reato (la vendita di droga), due persone di 25 e 38 anni residenti nella zona di Lavena Ponte Tresa. Sarebbero stati loro ad aver venduto la droga. Ma come si è arrivati al processo?

Il punto è che all’ascolto dei telefoni dei due pusher accusati di aver “smazzato” la dose – 50 euro di sostanza, meno di un grammo – in un bar di Cuveglio, c’erano i carabinieri alle prese con una ben più ampia inchiesta sulla penetrazione della criminalità organizzata nell’area di confine su cui non possono per ora emergere altri particolari.

Vengono messe sotto intercettazione diverse utenze, fra cui anche i telefonini dei due volti noti alle forze dell’ordine che si mandano messaggi, si chiamano, e ogni tanto ricevono la richiesta di farsi qualche “birra” con gli amici. Le birre però, secondo la Procura, sono dosi di coca che vengono comprate da altri soggetti, i grossisti, poi in alcuni casi “tagliate” con sostanze di libero acquisto in farmacia, come l’Aulin. E poi vendute al dettaglio.

L’accusa infatti è di aver agito in concorso per il reato previsto dall’articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti: “Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope” e, da questa vendita, di aver causato la morte del trentottenne.

Dalle intercettazioni emergerebbe non solo la capacità di entrambi gli imputati di procurarsi cocaina pura, ma anche di poterla pesare, e soprattutto tagliare – «questa è troppo forte, va ricalata la dose altrimenti qui qualcuno si fa male» – prima della vendita.

In seguito ad aver appreso della morte del cliente, i due pusher si cercano e forse si incontrano già il giorno del decesso: le celle dei telefoni sotto osservazione sono molto vicine allo stesso punto, una zona di Lavena Ponte Tresa proprio tra le 8 e le 10 del 27 aprile. 
L’ipotesi dell’incontro sarebbe un espediente per accordarsi su quale versione dare in successive telefonate preparate ad arte per sviare le indagini.

Le intercettazioni portarono alla firma dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere per entrambi gli imputati, eseguita nell’aprile 2018, nella quale si riportano ampi stralci di conversazioni riguardanti il confezionamento di dosi e il reperimento delle sostanze da taglio: «Dobbiamo “imballare” (preparare la droga per la vendita ndr) vado in farmacia a prendere l’Aulin. Fa niente se poi la roba sa di arancia».

Ma risultano anche le telefonate considerate artefatte, forse sapendo di essere intercettati, in cui i due sostenevano che la vittima fosse ubriaca «come un asino» al momento della morte, per coprire così l’assunzione di droga comprata poco prima. Prossima udienza, di fronte al giudice collegiale, a metà marzo.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 01 Febbraio 2019
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