Protesi e tumore al seno: “Non si faccia allarmismo”
Il professor Valdatta, Direttore della Chirurgia plastica dell'Ospedale di Circolo di Varese, spiega che la correlazione è al momento solo presunta, senza validazione scientifica
«Troppa confusione su un tema di delicata attualità». È l’opinione del prof. Luigi Valdatta, Direttore della Chirurgia plastica dell’Ospedale di Circolo di Varese e docente all’Università dell’Insubria, appena rientrato da un congresso a Pisa in cui ha moderato una tavola rotonda dedicata al tema della presunta correlazione tra le protesi mammarie e l’insorgenza del linfoma anaplastico a grandi cellule.
«E’ importante sottolineare che la correlazione è solo presunta, tutt’altro che dimostrata. – precisa Valdatta – C’è un sospetto in tal senso, che però non è supportato da studi scientifici che possano tradursi in linee guida condivise».
Il dibattito è sorto in conseguenza del fatto che in alcune donne portatrici di protesi mammaria è stato diagnosticato un particolare tipo di linfoma, il linfoma anaplastico a grandi cellule a bassa malignità.
«Si tratta di un linfoma a bassa malignità – spiega Valdatta – che si manifesta a partire da una tumefazione a livello mammario che insorgerebbe, senza alcun legame di causa-effetto dimostrato, a distanza di anni dal posizionamento della protesi. La tumefazione è la manifestazione esteriore di un sieroma, una raccolta di liquidi attorno alla protesi. In alcuni, rarissimi casi, l’analisi citologica del liquido ha portato a diagnosticare la presenza di cellule correlate a quel particolare tipo di linfoma».
Il numero di casi, in realtà, è piuttosto basso: in Italia, ad esempio, i casi si attesterebbero a una trentina, pari a 1/500.000. Si tratta comunque di dati presunti che non permettono di determinare se esista una correlazione o se, piuttosto, la presenza di protesi mammaria, anziché esser la causa della patologia, non sia piuttosto una sorta di ‘rivelatore’, che permette di evidenziare una patologia che sarebbe insorta comunque o che sia già in atto senza che la paziente ne abbia consapevolezza, proprio a causa della bassa malignità della stessa.
«I dati, insomma, sono tutt’altro che attendibili – spiega Valdatta – Eppure sui media l’argomento non solo è stato trattato con enfasi, ma in alcuni casi presentando conclusioni allarmanti. E’ invece necessario sottolineare che non ci sono certezze sul tema, anche se i vari specialisti coinvolti lo stanno approfondendo: oncologi, ematologi, senologi e chirurghi plastici. Il congresso di Pisa ne è la dimostrazione e non ci fermeremo di certo qui, visto che interessa tantissime donne».
L’impianto di protesi mammarie è infatti uno degli interventi più praticati al mondo, sommando l’impianto a scopo ricostruttivo con gli interventi di chirurgia estetica.
«Solo nella Breast Unit del Circolo si operano al seno ogni anno circa 500 donne, il 40% delle quali necessitano di interventi ricostruttivi. Se poi prendiamo in considerazione la chirurgia estetica, quella praticata fuori dall’Ospedale, in Provincia di Varese saranno almeno un migliaio le donne a cui, ogni anno, vengono impiantate delle protesi. Io voglio rassicurare queste donne sottolineando come siamo ben lontani dal poter dimostrare un’associazione di causa-effetto tra la protesi mammaria e il linfoma anaplastico. L’unico accorgimento che posso suggerire è quello, nel caso in cui le donne dovessero riscontrare una tumefazione a livello del seno a distanza di anni dall’impianto della protesi, di sottoporsi a controllo dal chirurgo plastico».
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