Basta con il primato degli azionisti, la svolta epocale delle multinazionali americane

Per la prima volta dal 1997 la dichiarazione del governo delle società, pubblicata da Business Roundtable e firmata da 181 ceo, non mette al centro il profitto e gli azionisti. Tra i sostenitori del manifesto anche Marc Bitzer ceo di Whirlpool corporation

whirlpool generiche

Potrebbe sembrare un rimedio omeopatico per guarire i mali del mondo, ma il messaggio che arriva dagli amministratori delegati delle più importanti multinazionali americane, tra cui Blackrock, Amazon, Whirlpool e GM, ha il sapore della svolta epocale: il profitto e il primato degli azionisti non possono essere più i soli principi che guidano una società.

Lo hanno sottoscritto nero su bianco 181 amministratori delegati in un manifesto pubblicato da Business Roundtable, associazione che annovera tra i suoi soci i colossi dell’economia mondiale.

Un cambio di rotta senza precedenti, considerato che a partire dal 1997, l’associazione, in ogni versione del documento, ha sempre sostenuto e approvato i principi del primato degli azionisti. Fino a oggi le grandi società esistevano solo per servire loro. Invece, con questa nuova dichiarazione i ceo si impegnano a guidare le proprie aziende a beneficio di tutte le parti interessate, ovvero: clienti, dipendenti, fornitori e l’intera comunità di riferimento.

Tra gli obiettivi della dichiarazione non c’è solo la creazione di valore nel lungo periodo, ma anche l’attenzione ai dipendenti con investimenti adeguati, equa retribuzione, formazione ed educazione per sviluppare competenze e creatività a beneficio di tutti. E ancora, favorire la promozione dell’inclusione, della dignità e del rispetto tra i lavoratori.

Buone notizie anche per i fornitori che dovranno essere trattati anch’essi in modo equo ed etico così come le società partner, grandi o piccole che siano, coinvolte nella mission delle multinazionali. E infine, ma altrettanto fondamentale, supportare le comunità in cui si lavora, rispettando le persone e l’ambiente, adottando pratiche sostenibili in tutte le attività in cui le aziende sono coinvolte.

«Il sogno americano è vivo, ma sfilacciato – ha dichiarato Jamie Dimon, presidente e ceo di JPMorgan Chase & Co. e presidente della Business Roundtable – I principali datori di lavoro stanno investendo nei loro lavoratori e comunità perché sanno che è l’unico modo per avere successo a lungo termine».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 20 Agosto 2019
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Commenti

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    Scritto da Paolo Selmi

    Un vecchio adagio ci ricorda di cosa sono lastricate le buone intenzioni. Andando a leggere la dichiarazione (grazie per il link) l’incipit è già un programma: “Americans deserve an economy…” (Gli americani si meritano un’economia che… etc)
    Gli americani, “america first”: a Napoli possono chiudere, a Castel S. Giovanni possono continuare a schiattare, in Bangladesh possono continuare a lavorare i bambini schiavi, a Shenzhen possono continuare a sputare dai polmoni giallo canarino e blu cobalto a comando.
    Premesso quindi che quanto sotto vale per il popolo eletto, si ribadisce subito sotto, a scanso di equivoci, il credo del libero mercato (“We believe the free-market system is the bestmeans of generating good jobs, a strong and sustainable economy, innovation, a healthy environment and economic opportunity for all.”, Noi crediamo che il sistema di libero mercato è il mezzo migliore per generare buoni lavori (una volta che si sono spostati i cattivi in Bangladesh o a Castel S. Giovanni), un’economia forte e sostenibile (tra una guerra, commerciale o vera, e l’altra per “incentivare la domanda”) , a healthy enviroment (Parigi a 42.6 gradi a luglio, Groenlandia e tutti i ghiacciai sotto i 3500 m ringraziano) e opportunità economiche per tutti (gli americani, forse, quelli che… “work hard”, e relative borghesie compradore nel resto del mondo).
    Il resto, è paternalismo in salsa confuciana (Xi va di moda anche se non lo ammettono?): per un’etica protestante basata sulla predestinazione (sovranismo puro a stelle e strisce) è già qualcosa.
    Cordialmente,
    Paolo Selmi

    1. Michele Mancino
      Scritto da Michele Mancino

      Gentile Paolo Selmi, ha ragione, le intenzioni da sole non bastano. Credo però che quel documento crei un precedente importante. È dal 1997 che si parla solo degli azionisti. Per la prima volta invece si mettono al centro del manifesto gli interessi di tutti gli altri soggetti, in particolare i dipendenti e l’ambiente. In Italia importanti economisti come Zamagni, Becchetti e Bruni stanno riportando a nuova vita l’economia civile, nelle università (anche alla Liuc di Castellanza) nascono corsi di business ethics ed è in crescita il numero delle imprese che sposano un modello di business etico e sostenibile. Quel manifesto è una piccolissima spia che indica a tutti noi che i tempi sono maturi per una svolta che riguarda il sistema, finanza compresa. Certo, ci vorrà del tempo, ma ormai è chiaro che economia sostenibile e finanza etica hanno in comune una qualità: la pazienza.
      Grazie per il civile e interessante commento.
      Cordiali saluti Michele Mancino

      1. Avatar
        Scritto da Paolo Selmi

        Grazie a Lei, Michele. Mi permetta solo queste osservazioni, per quello che possono valere.
        “In the long run we are all dead”, scriveva nel 1923 un giovane John Maynard Keynes. “Ogni limite”, come invece diceva a mo’ di intercalare un non più giovane Totò, “ha una pazienza”. Zamagni l’ho seguito personalmente nel 1999, in un corso di “Economia e cooperazione allo sviluppo”, organizzato a suo tempo dall’Università degli Studi di Ancona e dal Centro Volontari Marchigiani: già allora diceva che ci voleva pazienza, che erano processi lunghi, che per lo sviluppo economico dei PVS la strada intrapresa era comunque quella giusta, ma che ci volevano alcuni correttivi, ecc. Da allora sembrano passati secoli, il mondo è cambiato almeno due volte (in peggio), ma certe persone continuano a lanciare “piccolissime spie” (peraltro, l’interpretazione “sovranistica” di quella appena citata è del tutto palese, pertanto faccio fatica, io che non faccio parte del “popolo eletto” e lavoro in catena a Castel S. Giovanni, a gioire del fatto che al mio collega di Amazon sono state promesse “interessanti prospettive per il futuro”, direbbe Pozzetto).

        Comunque, come cantava qualcun altro di quel fantastico gruppo di allora “E sempre alegri bisogna stare / che il nostro piangere fa male al re”. Allegri, quindi.

        Peccato che è il pianeta, ormai, a non farsene più nulla di queste “piccolissime spie”:
        “Quello che ci dicono i carotaggi fatti sui ghiacci di Groenlandia e Antartico – spiega ancora il glaciologo – è che nell’ultimo secolo l’aumento della CO2 nell’atmosfera è stato cento volte più rapido che in qualsiasi altra epoca negli ultimi 800.000 anni. E la responsabilità non può che essere dell’uomo”. “Dalla metà degli anni Ottanta, le temperature vanno solo in salita – prosegue Colucci, che è membro del Comitato glaciologico italiano -. Fino ad allora, anche sotto i 3.000 metri, d’estate rimaneva sempre un po’ di neve sopra il ghiaccio, che lo preservava e creava la riserva necessaria per formarne di nuovo. Ma oggi, osserviamo spesso la quasi completa asportazione del manto nevoso in estate. Il ghiaccio rimane esposto al sole e si fonde. Se prendiamo la media delle temperature degli ultimi 15 anni, questa non è compatibile con l’esistenza di ghiacciai sotto i 3.500 metri”. Secondo Colucci, se non si ferma il riscaldamento globale, nel giro di pochi decenni decenni potrebbero ridursi drasticamente, fino quasi a scomparire, i ghiacci eterni dalle Alpi Orientali e Centrali. Rimarrebbero solo sulle Alpi Occidentali, quelle più alte. Il fenomeno della fusione dei ghiacci non riguarda solo le Alpi, ma tutte le catene montuose del mondo, dalle Ande all’Himalaya, i due poli e le steppe artiche. “Paesi come Perù, Cile e India contano sui ghiacciai montani per l’approvvigionamento idrico, e potrebbero avere problemi – conclude Colucci -. La sparizione dei ghiacci polari potrebbe sommergere isole e località costiere. Ai tassi attuali di fusione, la sola Groenlandia contribuirà ad un aumento di livello marino tra 5 e 30 cm, senza considerare tutte le altre fonti. E lo scongelamento del permafrost, il terreno ghiacciato delle steppe, libererebbe enormi quantità di metano, il gas serra con l’effetto maggiore”.
        http://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/clima/2019/08/05/-ghiacciai-delle-alpi-dimezzati-negli-ultimi-100-anni-_33b84875-3a74-437f-abb9-28c06c9c9b09.html

        “In the SHORT run we are all dead”, “alegri”, e con pazienza…

        Un caro saluto.
        Paolo Selmi

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