Da Gemonio al Mozambico, don Filippo Macchi diventa missionario
Dopo anni tra il Comasco e la Valtellina, a inizio 2020 il 39enne parroco partirà per la Chiesa di Nacala, nel Nord del Paese africano
«Mi sono messo a disposizione, sarà un’esperienza che mi farà crescere e migliorare». È questo lo spirito con cui don Filippo Macchi, 39 anni, si appresta a vivere il suo primo incarico da missionario in Africa, in Mozambico, nella Chiesa di Nacala, nel Nord del Paese africano. Partirà a inizio 2020, dopo aver completato un periodo di studio della lingua portoghese in terra lusitana. Domenica 20 ottobre in Cattedrale a Como gli è stato affidato il mandato dal vescovo Oscar Cantoni.
«È stato emozionante avere tanti amici e parrocchiani vicini a me. In queste settimane ho fatto tanti incontri, il seme dell’amicizia c’è, resiste e dà buoni frutti. Sono pronto a cominciare questa esperienza nuova. Io sono un prete “normale”, deciso a seguire il territorio che mi sarebbe stato affidato – racconta don Filippo, diplomato al Liceo Classico Cairoli e prete dal 2006 nella Diocesi di Como, di cui Gemonio, suo paese d’origine, fa parte -. Ho svolto il mio compito con i ragazzi degli oratori a Mandello del Lario per 6 anni, a Villaguardia poi a Grosio, in Valtellina. Già nel 2013 avevo dato la disponibilità a partire per il Camerun, dove c’era una missione da tanti anni, ma in quel periodo ci furono gli attentati di Boko Haram, alcuni preti furono rapiti e saltò tutto. La missione non è un mio chiodo fisso, ma penso sia giusto dare la disponibilità e provare un’esperienza nuova, diversa».
«Sono stato in Mozambico in agosto, insieme ai due due sacerdoti della diocesi di Concordia-Pordenone che mi affiancheranno nel primo periodo – continua don Filippo -. Parto con umiltà, con voglia di imparare. Il progetto è quello di affidarmi una parrocchia tradizionale: dovrò lavorare nel piccolo, con la gente, aiutare mamme, ospitare ragazzi, ma in gran parte aiutare la gente a vivere la fede, la catechesi, il battesimo, la comunione, i matrimoni. La prima impressione forte è stata quella di vedere due mondi diversi: in città ci sono tante possibilità, ma anche tanto disagio; nei villaggi c’è più povertà, ma la gente mangia senza grossi problemi e c’è dignità. Io dovrei operare nelle realtà di villaggio, più isolate, con un sistema famigliare consolidato e un buon livello di solidarietà. In più apprezzo molto la possibilità di poter lavorare con altri, non da solo, in gruppo».
«Con Gemonio ho un legame stretto, ci torno quando posso, a trovare i miei genitori. Come hanno preso la notizia? Alla domanda di alcuni bambini, la loro risposta è stata: “Siamo contenti perchè Filippo è contento” – chiosa il futuro missionario -. In tanti mi hanno incoraggiato, con un misto di ammirazione e felicità; altri sono preoccupati o non capiscono, qualcuno mi ha chiesto: “perchè non stai qui ad aiutare chi ha bisogno?”. Io rispondo che nella classifica del bisogno anche loro devono essere aiutati, ma soprattutto rispondo che ho bisogno io per essere più prete, per crescere. E comunque starò via per un periodo e poi tornerò».
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