“Chiamami Sottovoce”: storia di bambini proibiti nella Svizzera anni ’70

La scrittrice Nicoletta Bortolotti ha presentato il suo romanzo a Villa Gianetti, in occasione del trentesimo anniversario della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia: una serata di grande coinvolgimento emotivo, tra parole e musica

Chiamami Sottovoce saronno

“Un libro delicato, potente e dalle mille suggestioni. Un libro che si ama”. Sono le parole di Maria Assunta Miglino, assessore alla Cultura di Saronno, che ha così aperto la serata di mercoledì 20 novembre a Villa Gianetti: un incontro tra parole e musica, nel giorno del trentesimo anniversario della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, per presentare il romanzo “Chiamami sottovoce” di Nicoletta Bortolotti, scrittrice pluripremiata e autrice di diverse opere nelle quali ad essere protagonisti sono i bambini, raccontati in differenti contesti storico-culturali.

L’iniziativa rientra nella rassegna “Diritti in gioco”, proposta dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Saronno: un mese, novembre, di attività, laboratori e incontri dedicati ai bambini, per ricordare la Convenzione approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, che ha riconosciuto alcuni diritti impensabili per i bambini stessi fino a 30 anni fa, e che rappresenta ad oggi il trattato più ampiamente ratificato della storia, con 194 Paesi aderenti.

Per celebrare l’anniversario, la rassegna organizzata annualmente dall’Amministrazione Comunale è stata presentata quest’anno con un programma ancora più ricco, e caratterizzato dall’evento “clou” tenutosi a Villa Gianetti nel giorno in cui la Convenzione fu approvata.

“Ho pensato di organizzare, per i 30 anni della Convenzione, una serata con una scrittrice di grande rilievo. Abbiamo ritenuto che questo potesse essere il momento giusto per presentare un libro che parla di bambini nascosti” ha proseguito l’assessore Miglino. In un’atmosfera soave fatta di luci, ombre e parole, intervallate dalle note del flauto e del pianoforte dei musicisti Andrea La Monica e Chiara Piombone, capaci di rendere ancora più coinvolgente la serata.

La protagonista è stata l’autrice Nicoletta Bortolotti, che ha in primis ringraziato gli organizzatori con un pizzico di sana ironia: “Sono felice ed emozionata per l’occasione, ringrazio il Comune e l’Assessorato alla Cultura che hanno organizzato questo incontro con una ‘precisione svizzera’ “.

Un riferimento, quello alla Svizzera, che rimanda direttamente alla storia narrata dal suo romanzo: l’opera denuncia una situazione vigente nella nazione elvetica durante gli anni ‘70, quando una legge cantonale vietava agli italiani che attraversavano la frontiera per la stagione lavorativa, di portare con sè i propri figli, ai quali l’ingresso in Svizzera veniva vietato.

Da questa legge derivavano condizioni di vita estremamente precarie per i figli dei migranti italiani, costretti a viaggiare nascosti nei bagagliai delle automobili e privati, una volta giunti clandestinamente in Svizzera, del diritto alla vita e alla libertà: nessuna possibilità di uscire, di andare a scuola o di incontrare i propri coetanei. “Chiamami sottovoce” è il racconto di un’amicizia proibita di due bambini, tra incontri segreti e uscite furtive, spinti da un desiderio di vita troppo forte e autentico per rispettare i divieti imposti dai genitori, che ai figli raccomandavano soltanto di “non ridere, non piangere, non fare rumore”, come scrive Nicoletta Bortolotti nel suo romanzo.

Un libro che denuncia una legge oscura, che la Svizzera occultava con un silenzio assordante e che è ad oggi motivo di un certo imbarazzo per il Paese elvetico. L’incontro di Villa Gianetti si è sviluppato tra le parole della scrittrice, la lettura di alcuni passi significativi del romanzo e la proiezione di diverse immagini della Svizzera degli anni ‘70, a testimonianza della situazione descritta da Nicoletta Bortolotti, che ha toccato alcuni aspetti legati alla sua opera, dal modo in cui è nato il romanzo al legame con i luoghi della sua infanzia: “Ho preso spunto da un articolo che parlava di bambini segregati e nascosti per via della legge cantonale, era una situazione che mi ricordava quella di Anna Frank. Scrivere questo libro mi ha impegnato diversi anni, è stata doverosa una documentazione storica approfondita, le storie sono ambientate in luoghi della mia infanzia.

Raccontare fatti accaduti in luoghi associati alla mia età infantile è stato qualcosa che mi ha colpito profondamente, ho sviluppato i personaggi legandomi ad essi in modo emotivo e ricalcando i miei familiari e i miei vicina d’infanzia”. “Chiamami sottovoce” mette a fuoco una situazione scabrosa e delicata, che non ha mai ottenuto il doveroso riscontro nel nostro Paese, punto di partenza da cui gli emigranti italiani muovevano verso la frontiera insieme ai figli, la cui infanzia veniva così segnata dal marchio dell’intolleranza Svizzera.

Un aspetto che l’autrice e Maria Assunta Miglino hanno sottolineato con l’ultima delle letture di alcuni passi del romanzo, dando spazio a poche ma simboliche parole dell’opera: “Spesso le persone divengono lo specchio del luogo in cui crescono, non del luogo in cui nascono. Forse una casa non è dove tu sei, ma dove sei tu”. Nicoletta Bortolotti ha chiuso la serata trasmettendo il messaggio principale veicolato dal suo romanzo, e riferito specialmente ai giovani: “Questo libro racconta e denuncia un mondo che non c’è più, è un romanzo sulla memoria, è importante ricordare il passato. Ma, mi rivolgo soprattutto ai giovani, loro hanno il diritto di comprendere e poi dimenticare il passato, per vivere in modo più vigile il presente”.

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Pubblicato il 22 Novembre 2019
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