Il rock politico dei Jefferson Airplane
Il gruppo californiano chiude gli anni ’60 ricordando che il rock è rivoluzione
I Jefferson Airplane avevano aperto la loro esibizione di Woodstock con un potente inedito che parlava di rivoluzione, ma solo a novembre – per pretese censorie della casa discografica – riuscirono a pubblicarlo. Fu un album che si può definire definitivo per tre aspetti: certamente chiudeva gli anni ’60 e le loro istanze; era (insieme a Surrealistic Pillow) il loro album migliore; e infine chiudeva per certi versi anche la loro carriera come Airplane: fecero altri due dischi, con formazione cambiata e non più a questo livello, e si riformarono poi come Jefferson Starship. Ma qui il loro grido risuona alto, specialmente nei due brani che aprono e chiudono il disco: si parla di rivoluzione e di abbattere muri (sono passati 50 anni ma…), si chiamano motherfuckers gli uomini del potere, si incita ad unirsi per cambiare la società… E fra questi due brani ci sono tante cose diverse, in generale sui temi hippie, fra cui la splendida Wooden ships che avevamo visto nel primo CSN. Gli ospiti? Molti dei soliti noti (Garcia, Crosby, Stills…) ma soprattutto il geniale pianista inglese Nicky Hopkins, che è uno di quei session man che con le proprie collaborazioni – gli Stones, gli Who, i Kinks, Revolution dei Beatles… – ha fatto la storia della musica restando nell’ombra.
P.S.: il titolo lo presero da una strana occasione: il cantante Marty Balin – che fu picchiato dagli Hell’s Angels al famigerato concerto di Altamont – fu svegliato una mattina da un rumoroso camion dell’immondizia che aveva un adesivo “Volunteers of America”. Decisero che il titolo sarebbe stato quello ma la casa discografica lo fece accorciare…
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