La Valentyne Suite e le varianti del prog
Gli inglesi Colosseum spaziavano tra prog, blues e rock-jazz
In questa rubrica prima o poi dovremo occuparci delle copertine e della loro importanza, ma ci imbattiamo in questa, molto bella, che è una di quelle più ingannatrici: un prog sognante alla”I talk to the wind”? Un folk magari un po’ psichedelico alla Incredible String Band? Lo metti sul piatto e sei investito da un torrido rock blues! I Colosseum venivano proprio dalle radici del british blues: Jon Hiseman e Dick Heckstall Smith avevano militato con i gruppi dei padri del movimento (Alexis Korner e Graham Bond), e con Tony Reeves erano metà del gruppo che aveva inciso Bare Wires di John Mayall. Insieme a Dave Greenslade e James Litherland avevano ora formato questo gruppo che aveva già pubblicato un primo album a inizio 1969. Certamente l’uso del sax può far pensare ad esperienze viste oltreoceano come i Chicago o i Blood Sweat & Tears, ma in realtà la seconda facciata, che è poi il vero clou di questo album, sposta gli equilibri fino a far considerare anche questo un album prog (ve lo avevo anticipato che definire il prog sarebbe stato complicato…).
E indubbiamente a legarlo al prog è innanzitutto la forma della suite, che sarà usatissima nel genere, e secondariamente la prevalenza delle tastiere, dovuta anche al fatto che almeno la prima parte della suite è composta dall’organista Dave Greenslade. Un gruppo che sarà formidabile dal vivo, anche se orientandosi più su un rock-jazz che su un prog.
Curiosità: Valentyne Suite fu il primo album (numero VO01) pubblicato dalla Vertigo Records, una delle etichette più importanti del rock di quegli anni. La caratteristica distintiva dei dischi Vertigo era quella di riportare tutte le informazioni sull’etichetta del lato B, mentre quella del lato A riportava una sorta di spirale ottica in bianco e nero che dava un curioso effetto tridimensionale quando il disco girava…
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