La storia del professor Manuel, nel film in corsa per l’Oscar

Il docente dell'Insubria venne reclutato come traduttore per i bambini di Chernobyl in cura negli ospedali cubani. Un'esperienza drammatica che i suoi figli raccontano in un film

manuel barriuso

I suoi bambini erano piccoli. Avevano uno e tre anni. Ma quell’esperienza segnò per sempre la sua esistenza e loro, pur bimbi, percepirono la portata dell’evento.

Anni dopo, i tre mesi che sconvolsero la vita della famiglia, riemersero nella memoria del figlio più grande Sebastian: « Una sera, era a una festa a Toronto, dove si era trasferito ad abitare con la madre. Udì per caso parlare del disastro di Chernobyl e quel ricordo sopito e accantonato riemerse con tutta la sua forza. Mi chiamò e mi disse: scrivi ciò che è stato. Ci vogliamo fare un film».

E così è nato “Un traductor”, il film che Cuba ha indicato all’Accademy Award per rappresentare il paese nella sezione film stranieri degli Oscar.

I due registi Sebastian e Rodrigo Barriuso hanno ripercorso la lacerante esperienza del padre Manuel, trasformato dall’oggi al domani da docente di letteratura russa, alla facoltà di lingue straniere dell’Avana, in traduttore per i bambini di Chernobyl, che arrivarono nella capitale cubana per essere curati dopo il disastro del reattore nucleare: « Il nostro paese si era offerto di curare le persone contaminate – spiega Manuel Barriuso – Era stato predisposto tutto: gli spostamenti, i letti, le cure. Ma si erano dimenticati un particolare: i traduttori, chi potesse permettere la comunicazione tra i medici e i pazienti e i loro famigliari. Così, una mattina, chiusero il corso di russo all’università e ci reclutarono come interpreti. Le donne facevano i turni di giorno. Noi uomini di notte».

Furono gettati allo sbaraglio, senza la minima preparazione o idea di cosa dovessero affrontare: « Mi presentai la prima sera e trovai una madre che urlava e imprecava verso l’infermiera che non capiva – ricorda Manuel – mi avvicinai e arrivò il dottore. Mi disse di spiegare alla signora che per suo figlio non c’era più nulla da fare. Potevano solo lenire il dolore….. Il mio primo approccio fu con la morte. Io che ero sempre stato ipocondriaco, imparai a gestire la sofferenza, la morte e la disperazione. Negli anni,  fino al 2011, arrivarono a Cuba oltre 25.000 bambini. Io ne seguì circa una quarantina: i primi arrivi furono drammatici. Non se ne salvò nemmeno uno».

Quell’incarico scavò un profondo solco nella sua anima: « I miei figli erano piccoli, ma ciò che ho vissuto ha modificato profondamente la nostra esistenza. Mia moglie era sul punto di lasciarmi perché la nostra vita ne era stata sconvolta. Poi desistette. Quando finalmente riuscii a tornare nella mia classe in università, a chi mi chiedeva conto di quel lavoro rispondevo: “È finita”, in modo liberatorio».

Sebastian e Rodrigo hanno studiato e lavorano nel mondo del cinema: il maggiore ha già prodotto alcune opere mentre il fratello minore ha firmato un corto. Per entrambi “Un traductor” è la prima esperienza alla regia di un lungometraggio.

« Sono tornato a Cuba per seguire le riprese e aiutare gli attori a capire questa storia – spiega il docente dell’Insubria – Ho incontrato l’attore protagonista che interpreta il mio personaggio: Rodrigo Santoro è stato bravissimo. All’inizio non voleva accettare, ma i ragazzi hanno insistito e gli hanno inviato il copione. Si è così convinto ad accettare la sfida. Lui, brasiliano, ha imparato a parlare spagnolo con accento cubano e ha imparato anche le parti in russo».

Per Manuel è stato un modo per rivivere e riesumare una parte della vita che aveva sepolto: « Sono stato alla prima mondiale negli Stati Uniti e poi al Tertio Millennio Film Festival. Ovunque è stato un successo. Io me ne sono andato da Cuba nel 2001 a causa delle difficili condizioni di vita. Sono venuto in Italia con un contratto come docente di lingua e cultura spagnola. Ci sono rimasto e oggi insegno all’Università dell’Insubria al corso di Mediazione linguistica. Mi avevano chiamato quando stavano attivando il corso e mi sono fermato perché sto bene in Italia e sto molto bene a Como. Mi manca solo il mare di Cuba e il suo profumo. Quando sono davanti al lago, posso illudermi di essere in spiaggia, ma manca quel profumo che solo il mare sa emanare…».

manuel barriuso

Il film “Un traductor” è un omaggio al padre e a quanti vissero quell’esperienza in un momento di grave crisi: la storia è ambientata nel 1989 alla vigilia del crollo dell’impero sovietico, una fase che a Cuba viene definita “Il periodo speciale”.

Manuel trascorse oltre 100 notti al fianco dei bambini di Chernobyl:
imparò ad ascoltarli, ad aiutarli e a farli sorridere raccontando le storie e le canzoncine che lui leggeva ai suoi bambini: « È stato un momento difficile non solo per noi ma per tutta la città. Cuba aveva accettato di accogliere quei bambini e la popolazione sostenne l’iniziativa. Ma stavamo entrando in una fase delicata, divisa tra la grande generosità e l’inizio del declino».

Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

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Pubblicato il 11 Dicembre 2019
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