Una settimana nelle nevi, per ricordare i soldati della ritirata di Russia

Danilo Dolcini guiderà un gruppo di quattordici persone che ripercorrerà, da martedì prossimo, 150 km della marcia degli alpini, che per ultimi lasciarono le trincee del Don nel 1943. Il 26 gennaio la commemorazione a Nikolaevka

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Centocinquanta chilometri a piedi, nella neve, seguendo le orme lasciate 77 anni fa dagli alpini e dai soldati italiani nella ritirata di Russia. Danilo Dolcini abita a Rescaldina e guiderà un gruppo di quattordici persone in Ucraina, nell’arco di sette giorni, fino a Nikolaevka, data della maggiore e più determinante battaglia della ritirata.

«Faremo un paio di notti a Rossosch, che era sede del comando del Corpo d’Armata Alpino, muovendoci per due giorni nei dintorni. Poi partiremo martedì da Podgornje, che era stato il punto di riunione della Divisione Tridentina, e arriveremo a Nikolaevka  il 26».

Una data, il 26, che non è casuale, ma l’esatta ricorrenza del giorno della battaglia di Nikolaevka del 26 gennaio 1943, il momento in cui gli alpini – con una memorabile “carica della disperazione” – riuscirono a sfondare l’accerchiamento delle truppe sovietiche che avevano chiuso in una sacca tutta la retroguardia italiana (gli alpini erano stati gli ultimi a presidiare il fronte per evitare il completo accerchiamento).

Il percorso complessivo è di 150 km, circa 20-30 km ogni giorno. Un modo per accostarsi all’esperienza vissuta da migliaia e migliaia di  alpini, fanti, artiglieri e genieri dell’Armir, l’Armata italiana in Russia: «Dal 2011 ho iniziato a condurre questi viaggi, per cercare di capire quello che hanno vissuto, sono passato nelle zone degli alpini e anche degli altri reparti. Abbiamo ideato il trekking, che è il modo per accostarsi nel modo più vicino e rispettoso a quello che hanno vissuto quei ragazzi». Certo, tutti diversi sono i materiali, i ritmi di marcia e – ovviamente – le condizioni: oggi in pace e ieri in guerra, con le colonne perennemente sotto la pressione dei carri armati, dei mitragliamenti aerei, degli attacchi di sorpresa dei russi.

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Il gruppo in marci nel corso di uno dei viaggi degli scorsi anni

Dolcini non ha un legame familiare con la tragedia dell’Armir: «Spesso questa cosa stupisce le persone con cui parlo, perché non ho nessun parente coinvolto. Sono stato folgorato fin da ragazzino dai libri di Bedeschi e Rigoni Stern». Hanno parenti invece alcuni dei camminatori che parteciperanno al trekking, quattordici persone che vengono da Bergamo, da Brescia, ben sei dal Monte Grappa, un friulano.

Il gruppo viaggia secondo un programma organzzato, anche con intermediari e guide escursionistiche locali, «dormendo anche in case russe, anche in questo caso per vivere una esperienza in qualche modo vicina a quella dei nostri soldati».
Come detto, il gruppo arriverà a Nikolaevka nel giorno in cui anche i russi commemorano la dura battaglia del 1943, in cui caddero anche tanti ragazzi che venivano dalle Repubbliche Sovietiche. «I russi fanno una cerimonia per i loro Caduti, una cerimonia che è moltosentita, non solo a Nikolaevka ma anche in altre locali. E anche quel giorno faremo memoria dei nostri Caduti e anche dei loro».

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Il sottopasso della ferrovia a Nikolaevka, il punto in cui il 26 gennaio 1943 fu più drammatica la battaglia tra italiani e sovietici (foto dalla pagina “Un italiano in Russia”)

Nel corso dei viaggi, gli italiani sono spesso guardati con simpatia in Russia e Ucraina, come ci ha raccontato anche quest’estate Giovanni Bloisi. Molte persone testimoni di quei fatti ricordano con rispetto i soldati italiani, che furono inviati dal regime fascista a invadere una terra straniera ma seppero anche convivere con la popolazione e furono aiutate con umanità nel corso della ritirata, quando lottavano per tornare a casa.

Anche Dolcini (che gestisce una pagina facebook specifica, “Un italiano in Russia”) ricorda i racconti degli anziani, persone che erano ragazzini 70 anni fa e oggi sono tra gli ultimissimi testimoni: «Proprio nel paese appena dopo Pogornoje, a Opit, nel 2013 abbiamo incontrato una signora, che nel 1943 era una bambina. Lei era presente, ha visto la ritirata della Divisione Tridentina, formata da migliaia di uomini: ci ha raccontato che sulla faccia di tutti i ragazzi aveva visto la paura e il terrore». Migliaia non sarebbero tornati alle loro case, ma non sono stati dimenticati.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 17 Gennaio 2020
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