Violenza sessuale sulla nipote, condannato a sette anni

L’accusa aveva chiesto il doppio della pena. Revocata la costituzione di parte civile dei genitori della vittima

Avarie

Per il tribunale è una violenza sessuale da punire con sette anni di carcere.

Per i pensieri che hanno animato le menti dei soggetti implicati a diverso titolo in questa vicenda – una è la vittima, l’altro il carnefice – chissà di cos’altro si tratta: la storia è di quelle che fece scalpore a metà del mese scorso per le dichiarazioni in aula dello zio imputato, e oggi condannato: «Dopo aver fatto quelle cose con mia nipote, andavamo insieme a confessarci a Varese».

E “quelle cose“ sono state giudicate veri e propri atti di libidine su una minore che – seppur consenziente – rientrano nel reato di violenza sessuale aggravata, appunto, dal legame di parentela.

Il pubblico ministero di questo procedimento ha chiesto la condanna a 14 anni di reclusione per l’imputato, un uomo di 34 anni con un passato nel quale lui stesso raccontò di aver dovuto fare i conti con abusi e vessazioni sessuali anche da parte di una sacerdote.

Una vita passata nello stesso caseggiato di un piccolo centro dell’Alto Varesotto in cui abitavano anche i parenti e nel quale sarebbe maturata una promiscuità capace di portare a consumare quei gesti che si sono spinti ben oltre il lecito affetto.

L’imputato già durante l’escussione in aula aveva confessato di aver sbagliato nella consumazione di quei comportamenti, con una cadenza mensile, assieme a quella giovane nipote di 15 anni, e di aver attivato un percorso di recupero e redenzione in carcere.

Dopo la decisione di oggi il difensore, Furio Artoni, ha fatto sapere che la sentenza, nella quale la corte ha riconosciuto le attenuanti generiche equivalenti, verrà certamente impugnata in appello.

«Questa condanna pesa a mio avviso più sui genitori della ragazza che sull’imputato proprio per via del loro comportamento in questa vicenda emerso durante la fase dibattimentale – ha affermato il difensore – . Non è un caso che la corte abbia revocato ai genitori la costituzione di parte civile».

I fatti contestati si riferiscono al periodo del 2016 cui seguì nel 2018 una denuncia alla polizia da parte dei parenti della ragazzina che trovarono dei biglietti sospetti nella loro abitazione.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 25 Febbraio 2020
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