“Volti, attimi, emozioni: la mia esperienza al fianco dei pazienti”

Aurelio Filippini sta coordinando la squadra dei "tamponatori" all'ospedale di Varese. Dal PS ai vari reparti ha incontrato volti e storie di tante persone, piegate da un virus infido e aggressivo

aurelio filippini

«Il tempo scorre, ma in modo diverso, Krónos e Kairòs si tengono la mano…il tempo passa a volte velocissimo a volte lentissimo ma come sempre passa, ferma attimi che si fissano indimenticabili. Anche i sensi sono sottoposti a stimoli diversi, tutto quello che percepisci è assolutamente diverso, sei dentro una tuta con occhiali e maschera, i suoni, gli odori, il tatto e la vista…tutti sensi percepiscono in modo diverso».

Sono alcuni degli appunti di Aurelio Filippini, presidente dell’Ordine degli Infermieri della Provincia di Varese, impegnato nella gestione dell’emergenza Covid all’ospedale .
Anche lui è coinvolto dal primo giorno : « Coordino la squadra dei “tamponatori”, gli infermieri che effettuano i test in ingresso all’ospedale e poi nei reparti di degenza. Accogliamo chi giunge con sintomi. All’inizio dell’emergenza arrivavano con la paura negli occhi, spaventati da un virus di cui si conosceva poco tranne che poteva uccidere. Le loro condizioni erano spesso compromesse, avevamo difficoltà a relazionarsi. Il nostro sguardo incontrava la disperazione. Oggi, le cose vanno meglio, la tensione si è stemperata. L’altro giorno è arrivato un signore che ci ha accolto dicendo “Ah il famoso tampone. Ne ho sentito parlare così tanto in televisione”. Decisamente un’altra tensione».

Aurelio ricorda i tempi della precedente pandemia, quella dell’HIV, ma il clima era diverso, era un virus letale ma individuato, circoscritto a determinati comportamenti e stili di vita. Questo coronavirus, invisibile e aggressivo ha costretto gli operatori a proteggersi con un abbigliamento sofisticato:

« Vedo tanti colleghi, tanti reparti, tante persone. Entro in molte stanze, ripeto gesti con cura, mi vesto, mi disinfetto, mi cambio…quel poco che si vede di me sorride mentre incrocia altri sguardi, alcuni rinchiusi all’interno di un casco, altri che spuntano da sotto la mascherina, ti guardano e ti parlano…poi voci ovattate che chiedono quando arriverà il risultato del tampone e se andranno a casa, perché a casa, il sig L. ha la moglie che gli manca tanto, sono insieme da più di 50 anni e lei è tanto brava, M. ha dei gravi problemi a casa e vuole tornare a risolverli…».

Il lavoro è lo stesso: professionalità e deontologia, etica e concentrazione. Ma c’è un aspetto nuovo che rende speciale questa esperienza: « Questo covid non ci ha dato le possibilità di erogere barriere, è arrivato in fretta e si è insinuato in chiunque. Ci si accorgeva quando iniziavano i danni. Ci ha costretto a lavorare in fretta su protocolli e procedure che cambiavano ogni giorno, perché ogni giorno si faceva una scoperta»

L’isolamento dei pazienti, lontani da casa e soli nella disperazione, è stata l’esperienza che più ha messo a dura prova la capacità di soccorrere degli infermieri:

« Oggi ho assistito all’unzione degli infermieri in ospedale, eravamo in una zona con isolamento. La signora, molto anziana, era sola…e il sacerdote ha chiesto alla collega di tracciare il segno della croce con l’olio consacrato sulla fronte e sugli arti mentre recitava una preghiera, ho pensato alla mia nonna e al mio papà…ero li! È stato un momento incredibile».

Incredibile è la quantità di emozioni che quotidianamente hanno vissuto in questi giorni in corsia, al fianco di persone spaesate, spesso lontane dalle proprie case e dal conforto dei parenti, aggrappati a quel respiro che a volte scompariva e bisognava riacciuffarlo con la mascherina o la Cpap: « A Cuasso è arrivava una donna da Cremona: era spaesata perché era stata ricoverata a Crema, poi intubata a Cremona e quindi arrivata a Cuasso per la convalescenza. Non sapeva orientarsi, vedeva quegli alberi e non capiva nulla. Quando, con la video chiamata ha visto i suoi nipoti, si è sciolta in un pianto a dirotto. E anche noi, lì presenti, abbiamo trattenuto le lacrime a stento».

L’esperienza e la professionalità sono state preziose per gestire l’emergenza, che comunque lascerà un segno profondo: « Ci siamo incaricati delle paure delle persone con il conforto della scienza e della nostra deontologia professionale: gestire paure degli altri ci ha aiutato a elaborare in qualche modo i nostri traumi e le ansie. Essere un operatore è stato un vantaggio anche rispetto a chi è fuori: credo che nella grande fatica, l’essere professionista ci ha permesso di gestire in terza persona tutto ciò che stava accadendo, così siamo riusciti a elaborare questa emergenza prima per essere pronti a dare il nostro contributo».

Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

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Pubblicato il 25 Aprile 2020
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