L’emergenza coronavirus rende le famiglie di un bimbo autistico ancora più fragili

In occasione della Giornata mondiale per la consapevolezza sull'autismo, Cristina Finazzi presidente dello Spazio Blu riflette sulle difficoltà di questo momento tragico da cui potrebbe, però, emergere una nuova fase di vera integrazione

spazioblu autismo

Correva l’anno 2007. L’Onu riconosceva il 2 aprile come la Giornata Mondiale per la Consapevolezza sull’ Autismo.
Un invito a riflettere e ad accendere i riflettori su una condizione, l’autismo,  
che anno dopo anno sta riportando aumenti di prevalenza esponenziali nell’umanità. Il mese scorso, il CDC (Center Desise of Control) di Atlanta – Usa,  ha pubblicato nuovo report: nei bambini di 8 anni la prevalenza
dell’autismo è di 1 su 54. In Italia gli ultimi dati sono dello scorso anno: 1 su 77 (fonte:Istituto Superiore Di Sanità).

L’autismo è una sindrome neurobiologica (compresa all’interno di un gruppo più ampio di cosiddetti Disturbi dello Spettro Autistico), causata da una complessa interazione tra genoma e ambiente ad esordio precoce, principalmente nei primi tre anni di vita. Si configura per molti di loro come disabilità “permanente” ma con aspetti dinamici, ed accompagna il soggetto nel suo ciclo vitale, anche se le caratteristiche dei deficit assumono espressività variabile nel tempo e la traiettoria di sviluppo risulta modificabile in base alla precocità della diagnosi e dell’adeguatezza del trattamento.

Le aree particolarmente interessate sono quelle relative alla relazione interpersonale reciproca e di conseguenza alla possibilità di apprendimento delle abilità e competenze,  con difficoltà di generalizzazione delle abilità da un contesto all’altro, alla capacità di comunicare idee e sentimenti, alle modalità poco flessibili di comportamento ed interessi, alla ipo o iper sensorialità e alla difficoltà di organizzare e/o integrare la percezione  degli stimoli ambientali (suoni, rumori, luci, stimoli tattici o olfattivi ecc)

Oggi stiamo vivendo tutti in una condizione di vita sospesa, di attesa, di paura e di indeterminatezza. Una condizione di fragilità, di vulnerabilità con cui pochi si erano confrontati in precedenza.

E’ però anche il sentimento che accompagna quotidianamente una famiglia con un figlio autistico, rendendola oggi ancor più fragile.

Come spiegare a un bambino che non parla, che a fatica “comunica” attraverso immagini, che non ci sarà più il suo compagno di classe ad attenderlo all’ingresso della scuola, che non abbraccerà la  maestra in cima alle scale, che non lavorerà all’acquisizione di nuove competenze con la sua educatrice, che non andrà in quella mensa rumorosa ma carica di sorrisi e energia? E come spiegare che non ci saranno le sessioni pomeridiane a BLULAB o la piscina o la passeggiata? E quand’anche fosse verbale, con un buon “funzionamento” e senza disabilità intellettive come privarlo delle sue routine?

Le persone con autismo, tutte,  richiedono routine stabili e prevedibili e cambiamenti così radicali nella loro vita quotidiana possono avere conseguenze sulla loro salute e su quella delle loro famiglie: alti livelli di ansia, stress, comportamenti sfidanti, perdita di autoregolazione e le situazioni più estreme possono persino mettere a rischio la loro integrità fisica.

Nessuno era pronto per questa pandemia, ma ancor di più oggi le nostre famiglie si trovano sole, abbandonate a se stesse, nella difficile gestione dei propri figli autistici.

Per non parlare dei ragazzi o adulti che si trovano nelle strutture residenziali dove purtroppo aumentano i contagiati, tra loro ed il personale sanitario e educativo: quali protocolli e quali attenzioni garantisce uno Stato civile e il suo sistema di servizi alla fragilità? 

E per chi si trova in lockdown nella propria abitazione? Se un genitore, che spesso è l’unico caregiver, si dovesse ammalare? E se toccasse al bambino o al ragazzo autistico?

Come Uniti per l’autismo abbiamo posto questi quesiti agli Enti deputati, cercando di suggerire anche possibili idee di percorsi e facilitazioni. Ma ad oggi nessuna risposta.

L’unica risposta ottenuta è la deroga per piccole passeggiate a piedi o in macchina, muniti dei documenti attestanti la disabilità dei nostri figli e relative protezioni. Una possibilità preziosissima.

Con i nostri ragazzi non è inoltre pensabile fare lezione o sessioni educative in remoto, in e-learning… ci si prova certo, ma con scarsi risultati.

Con mio figlio Leo, ad esempio,  ci stiamo lavorando da 3 settimane, con la  sua insegnate di sostegno e l’ educatrice,  mettendoci tutte in gioco: appuntamento fisso via skype alle 10 del mattino: facciamo l’appello utilizzando le foto dei compagni di classe, qualche attività di denominazione, categorizzazione, lavoriamo su acquisizioni di abilità nel contesto della casa come: apparecchiare, stendere il bucato… ma che fatica immensa! Soprattutto per le madri.. sulle cui spalle ricade come sempre, tutta la gestione  del dover “avere cura di“. Tutto. Bel mito italiano della donna!

Ogni tanto via telefono ci arriva un saluto dai suoi compagni con foto di disegni o piccoli filmati: Leo è emozionantissimo nel vederli! Che gioia! 

E’ nel poco tempo che avanza, questo diventa  tempo prezioso per la riflessione più autentica, lontana dalle illusioni e dalle false promesse e quindi, si spera, di future possibilità.  

Qualcuno ha definito l’autismo una “pandemia silente” . L’aumento delle persone con questa diagnosi è lì a confermarlo. 

Silente poiché in questi tredici anni dalla prima giornata Mondiale dell’Autismo, pochissima attenzione e investimenti di risorse in ricerca e servizi sono state investite. Per non parlare di una reale comprensione di termini come “inclusione”, “ accettazione”, “la ricchezza della diversità”. Quanta strada ancora…

In Italia, le luci blu sui monumenti e i palloncini nelle piazze cosa hanno prodotto? Un numero impressionante di documenti, leggi e leggine, Linee Guida e disposizioni regionali; un dispendio enorme di tempo e lavoro per chi si è dedicato con passione e fiducia alla loro stesura. E parlo soprattutto dei genitori e delle associazioni storiche dell’autismo.  Ma quante di queste attuate? La maggior parte di tutta sta carta giace nei cassetti: carta straccia… 

Personalmente ritengo che per troppo tempo, ci siamo ingenuamente “affidati”  alle vane promesse del politico di turno o del funzionario, oppure a categorie professionali deputate alla loro attuazione. 

Abbiamo delegato troppo. Un pò per evidenti ragioni di competenze e di tempo, un pò per la nostra buona fede e stanchezza estrema…

Dobbiamo però riuscire a vedere  la realtà per come è: siamo nelle mani di un  sistema “ perverso” , fondato su altri tipi di interesse, su una visione dell’autismo superata dalle nuove acquisizioni scientifiche e che non ammette una sua ristrutturazione per dare finalmente risposte: organizzazione e servizi per le persone autistiche e per le loro famiglie. E da qui forse ripartire.

Dobbiamo trovare il modo di renderci attori di questo cambiamento: ma non nel conflitto o nella contrapposizione ma cercando altre strade di reale collaborazione e nuove alleanze.

Chiudo con un auspicio: che il dramma e la fatica di questo tempo, possa essere il “ vuoto” che permetta al germe di una nuova consapevolezza e umanità, di crescere, accogliere e saper valorizzare la diversità. Senza un cambio culturale e sociale, non potremo certo sperare nei cambiamenti nell’organizzazione dei servizi: sarebbe solo una nuova illusione a cui aggrapparci per un pò…
Ma  questo bisogno di cambiamento, spero davvero che germogli in ognuno di noi e che sia l’alba di nuovi mondi. 

di
Pubblicato il 02 Aprile 2020
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