Origgio, Rsa San Giorgio: “Abbandonati da Ats e Regione. Diamo il massimo per i nostri ospiti”

La responsabile della struttura tiene a sottolineare l’impegno e il duro lavoro di tutto il personale della struttura e segnala una non corretta gestione dell’emergenza da parte delle autorità preposte, Ats e Regione Lombardia

Generico 2018

Sono attualmente 27 gli ospiti residenti nella casa di riposo San Giorgio di Origgio. La responsabile della struttura, Pepe Grazia, tiene a sottolineare l’impegno e il duro lavoro di tutto il personale della struttura e segnala una non corretta gestione dell’emergenza da parte delle autorità preposte, Ats e Regione Lombardia.

«Sono molto amareggiata per quello che viene scritto sulle nostre strutture e di come le Ats e Regione Lombardia si stanno muovendo – commenta la responsabile – La nostra struttura, come moltissime altre, ha al suo interno un centro diurno. Allo scoppio dell’emergenza siamo stati i primi in assoluto a chiudere il centro, anche se Ats e Regione Lombardia non hanno dato alcuna comunicazione chiara e hanno lasciato alle strutture la decisione di chiudere o tenere aperto. Se parliamo di assembramenti le case di riposo e i centri diurni lo sono, anche perché spesso i centri diurni sono collocati all’interno delle RSA e, come da noi, il personale che lavora nella casa di riposo è lo stesso per il centro diurno».

La struttura ha quindi deciso autonomamente di chiudere il centro diurno appena scoppiata l’emergenza, anche senza direttiva da parte di Regione Lombardia. Il 5 marzo è stata poi disposta dalle autorità sanitarie la sospensione delle visite dei parenti nelle case di riposo.

«Il primo errore è stato quello di non prendere fin da subito un provvedimento chiaro per l’apertura dei centri diurni e per le visite all’interno delle case di riposo – lamenta la responsabile – i provvedimenti sono arrivati dopo, ma era già tardi, bisognava farlo prima. I centri diurni andavano chiusi, soprattutto quelli che lavorano a contatto con le RSA. Noi abbiamo chiuso subito pur andando in perdita economica, per senso di responsabilità. Abbiamo veramente valutato il benessere dei nostri ospiti, perché prima vengono loro».

Ha pesato anche l’assenza di direttive sui protocolli da seguire e soprattutto la mancanza di fornitura di dispositivi di protezione individuale, che la struttura si è procurata a proprie spese: «Dei veri e propri protocolli di emergenza Covid noi non li abbiamo avuti, ci siamo arrangiati nella gestione dei nostri pazienti con protocolli interni. Gli operatori che sono stati a casa in malattia dopo due settimane di quarantena gli è stato consentito di rientrare senza che gli venisse fatto un tampone, solo il giorno 1 aprile è arrivata la direttiva dei tamponi ai sanitari delle Rsa, prima il vuoto …».

«Non voglio mettere in discussione l’operato delle Ats, ma sottolineare che abbiamo operato con le risorse che ci siamo procurati da soli. Eravamo i primi a dover essere tutelati, non gli ultimi anche perché la casa di riposo è senz’altro un terreno fertile per il virus, essendo una comunità con anziani con pluri-patologie. È poco corretto far ricadere sulle strutture le colpe quando noi abbiamo cercato di lavorare con il massimo dell’impegno, con tutta una serie di costi aggiuntivi che ci siamo assunti da soli, prendendoci a carico i costi delle mascherine, dei camici, delle sanificazioni. Tutto a carico nostro».

La struttura è riuscita ad ottenere tamponi per tutti gli ospiti e per il personale che verranno eseguiti il prossimo 20 aprile ed allora si potrà avere la certezza dell’assenza di casi di Covid-19 in struttura. «La trasparenza la dobbiamo ai famigliari dei nostri pazienti, perché io non avrò nessun tipo di problema a dichiarare eventuali casi di Coronavirus – conclude la dottoressa – Non ci dobbiamo vergognare proprio di niente; abbiamo lavorato fino in fondo, dando l’anima e mettendo in prima linea il benessere dei nostri ospiti».

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Pubblicato il 17 Aprile 2020
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