Rsa Madonna della Croce, la voce dei lavoratori: “Noi, mandati in guerra senza protezioni”

Parlano i lavoratori della Rsa di Viggiù, dove la situazione del contagio da coronavirus desta preoccupazione sia per la salute degli anziani ospiti sia per l'alto numero di positivi riscontrati tra gli operatori

Viggiù - Istituto Madonna della Croce

La preoccupazione per la propria salute e quella dei propri familiari e il dispiacere per i  loro “nonnini”. La rabbia per non essere stati ascoltati subito e la consapevolezza di quanto il loro ruolo sia indispensabile, oggi più che mai, nonostante la paura e la fatica.

Sono tanti i sentimenti e le emozioni che si alternano nelle voci dei lavoratori della Rsa Fondazione Madonna della Croce di Viggiù, dove la situazione del contagio da coronavirus desta preoccupazione sia per la salute degli anziani ospiti sia per l’alto numero di positivi riscontrati tra gli operatori e la conseguente drammatica carenza di organico.

Abbiamo ascoltato diverse testimonianze, garantendo l’anonimato ai dipendenti che hanno voluto parlare con noi, e abbiamo anche sentito il sindacato che rappresenta questi lavoratori.

«Questa è un’emergenza mondiale e nessuno vuole giudicare, perché ci sta che una persona si trovi impreparata e non sappia gestire, affrontare la situazione – è la premessa di una lavoratrice – Però noi dipendenti abbiamo segnalato subito le criticità, dalla questione dei dispositivi di sicurezza alla questione delle pulizie e dell’igiene, fino alla necessità di isolare subito i pazienti con sintomi da Covid, anche in assenza del tampone. Ma non siamo stati ascoltati. Forse se lo avessero fatto, invece di minimizzare, le cose sarebbero andate diversamente».

Dispositivi di protezione individuale inadeguati e scarsi sono stati la prima preoccupazione dei dipendenti, insieme al rischio di contagiarsi e di contagiare.

Il 20 marzo una quarantina di operatori e infermieri hanno scritto alla direzione sanitaria, per esprimere perplessità riguardo sia ai dispositivi di protezione in dotazione sia alla gestione dei pazienti provenienti dall’ospedale, a prescindere se presentassero sintomi o meno: «Abbiamo chiesto che tali pazienti, venissero subito messi in isolamento in camere singole e gestiti come potenziali positivi al virus, dando indicazioni chiare al personale e fornendo tutti i dispositivi adeguati. Fin dall’inizio non ci siamo sentiti tutelati e abbiamo detto chiaramente che ci sentivamo messi allo sbaraglio, impotenti e destinati inevitabilmente ad ammalarci».

Una paura purtroppo fondata: due giorni fa, come risulta dai dati comunicati dalla direzione sanitaria e dal sindaco,  su un totale di 110 dipendenti della struttura 48 erano in malattia (di cui 14 accertati positivi al coronavirus ed altri 14 con sintomi compatibili ma non tamponati), e la struttura stava disperatamente cercando di reclutare personale.

Alla Rsa di Viggiù situazione critica, tra nuovi contagi e carenza di personale

Nel frattempo almeno altri cinque ospiti sono deceduti in pochi giorni, da Pasqua ad oggi, due reparti sono isolati con diversi anziani che presentano sintomi da sospetto Covid-19, e il virus ha fatto la sua comparsa anche nel nucleo Alzheimer, con un paziente del nucleo portato in un altro reparto e poi deceduto ieri.

«Mi sono sentita abbandonata da chi è ai vertici – racconta un’altra lavoratrice – siamo stati mandati in guerra senza le giuste protezioni, di fronte ad una situazione così non si è avuta la giusta attenzione per la nostra salute e quella delle persone che curiamo. Non si può tacere la superficialità di chi ci coordina, senza avere in deposito dispositivi per essere pronti per qualsiasi emergenza, come un semplice clostridium difficile, figuriamoci il covid-19. Il mandarci da persone sospette covid senza adeguate protezioni con delle semplici mascherine chirurgiche. Perché dicevano, ci sono pochi camici, dobbiamo fare economia. Ora che la situazione è fuori controllo, e non viene detta tutta la verità, perché si pensa a sottolineare che ci sono tot persone in malattia? Forse per attribuire la colpa a qualcuno e lavare la propria coscienza? Avrei preferito che ci avessero ascoltato di più invece di dire che eravamo affetti da psicosi generale, perché il tempo ci ha dato ragione; avrei preferito che avessero ammesso che il problema era più grande di loro, e forse avremmo lavorato in armonia, ottenendo risultati migliori».

Problemi interni, ma non solo, come spiega Anna Muggiano della Cgil di Varese, che segue la Rsa Madonna della Croce: «Va detto che inizialmente, quando è scoppiata l’emergenza, trovare mascherine e camici era difficile per tutte le strutture, e anche chi si è mosso ed è riuscito a trovarle se le è trovate magari bloccate in dogana. Credo che un grosso problema sia stato causato alla Madonna della Croce come in altre strutture dalla gestione dei tamponi fatta da Ats. Più e più volte sono stati sollecitati per ospiti e personale, ma nemmeno ci rispondevano. Per i primi 15 giorni c’era un solo operatore addetto ad eseguire i tamponi in tutta la provincia, impegnato ogni giorno dalle 7 alle 22, ma sempre uno solo per le strutture e per i test a domicilio. Da una decina di giorni ci sono più squadre, ma intanto si è perso tempo prezioso».

«Di certo le Rsa sono state lasciate sole a gestire queste emergenza – aggiunge la sindacalista – Il 13 aprile Ats ha inviato alle strutture le linee guida, salvo comunicare, ed è notizia di ieri, che devono trovare da sole i tamponi e anche i laboratori dove farli analizzare».

Ora i dispositivi di protezione alla Madonna della Croce sono arrivati, qualche tampone è stato fatto, ma resta l’amarezza: «Ora forse la situazione viene gestita con più consapevolezza –  dice una lavoratrice – Servivano più competenze organizzative e un coinvolgimento più serio del personale. Se avessero fatto una seria prevenzione avrebbero salvato magari non tutti ma buona parte del personale Asa e infermieri, che per quanto loro poco considerano e stimano era la loro più importante risorsa».

«Una cosa mi piacerebbe si capisse – aggiunge un’altra dipendente – Oltre alla preoccupazione e alla fatica,  noi abbiamo il peso maggiore sotto l’aspetto psicologico perché vediamo morire persone che per noi non sono numeri ma alle quali siamo affezionati, dopo averle accudite anche per anni».

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Pubblicato il 16 Aprile 2020
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