Insegnanti “a distanza”? «Dobbiamo formare teste ben fatte, non teste piene»

Carmela Paciletti, maestra di quarta elementare della scuola "Carducci", porta la sua esperienza a oltre due mesi dalla chiusura delle scuole: «La mia alleata è la tecnologia»

Generico 2018

Gli zaini giacciono abbandonati in un angolo di casa dal 22 febbraio. In poche ore si è passati da “tutto” a “niente”: niente sveglia alle 7 del mattino, niente corse verso l’amico del cuore che ti aspetta davanti all’ingresso della scuola, niente insegnanti, niente lezioni. La vita di milioni di studenti si è fermata. Non è stato semplice rimetterla in moto: c’è chi ha ingranato subito la marcia ed è partito con lezioni e compiti, chi ci ha messo qualche settimana in più, chi mesi ed è arrivato un po’ in rincorsa.

A Buguggiate la scuola primaria “Carducci” si è attivata in tempi rapidi e, grazie alla disponibilità delle insegnanti e della dirigente Angela Botta, è ripartita organizzando lezioni e persino laboratori. Tra le insegnanti che per prime si sono rese disponibili a mettere in campo energie nuove c’è Carmela Paciletti, maestra di quarta elementare. Con lei parliamo di questa esperienza di nuova didattica, che lei preferisce chiamare di “vicinanza”.

L’emergenza Covid ha portato una rivoluzione nella scuola ma soprattutto nel modo di pensare l’insegnamento: quanto è stato faticoso adattarsi?
«Questo evento epocale mi ha spinta ad accettare il cambiamento, ad adattarmi alla situazione e a reagire. Ed è per questo che la classe 4^A della scuola primaria “G.Carducci” di Buguggiate nella quale insegno non si è fermata, anzi ha attivato fin da subito per scelta la “didattica a distanza”, ancor prima che diventasse obbligatoria. La mia alleata è la tecnologia: la videoconferenza Zoom è il mezzo che sta favorendo l’unica trama sociale possibile tra me e i miei ragazzi in questo delicato momento. Si rafforza l’idea che occorre abbandonare la didattica puramente trasmissiva, alla gentiliana, per favorire una didattica interattiva e motivante. Anche se non è semplice occorre pensare in digitale evitando di tradurre in digitale ciò che facciamo in analogico. Si impara facendo e riflettendo su ciò che si fa».

Come hanno reagito i bambini a questa nuovo modo di “andare a scuola”?

«Il desiderio di potersi ritrovare è stato vincente e ci ha consentito di superare ogni difficoltà, grazie alla collaborazione e alla sinergia che si è creata fin da subito con i genitori che hanno sfoderato risorse inaspettate. Tutti i bambini si connettono quotidianamente mostrando maturità gestionale, ma soprattutto rispetto reciproco, desiderio di ascoltarsi e di collaborare anche nella scelta degli argomenti da trattare. Non ci si annoia e il tempo a disposizione durante la didattica della vicinanza non è mai abbastanza! La videoconferenza mi consente di avere tutti i bambini con le loro peculiarità presenti: si ha bisogno di socialità e la rete è un diritto sociale».

Pregi e difetti di una didattica che tiene lontano “fisicamente” i bambini dai compagni e dagli insegnanti 
e che non può stimolare tutti sensi
«Dipende da come la si gestisce. Questa didattica ci sta comunque favorendo nel creare degli ambienti stimolanti di apprendimento, dove i bambini possono fare esperimenti, seminare, fare attività fisica, yoga, ricerca, compiti di realtà, comprensione, ascolto di musica dal vivo interpretata dagli stessi ragazzi, e molto altro. Riusciamo a fare inclusione: a coinvolgere tutta la classe durante le videoconferenze per fare in modo che nessuno perda niente dell’altro. Inclusione è il contrario di distanza. E’ chiaro che se potessimo scegliere vorremmo tornare a scuola per poter sorridere guardandoci negli occhi e creare quella complicità che puoi trovare solo dietro i banchi di scuola».

Ha ancora senso, in questa situazione, preoccuparsi di “portare a termine il programma”?
«Occorre portare avanti il programma, selezionando e dando delle priorità nel rispetto dei tempi e degli stili cognitivi dei ragazzi. E’ indispensabile attuare una didattica per competenze dove l’obiettivo – citando Montaigne – è quello di “avere una testa ben fatta non una testa ben piena”».

Quale sarà il criterio per le valutazioni finali? Come sarà spiegato ai bambini come è stato valutato il loro lavoro?
«Da insegnante ritengo che sia importante creare un ambiente d’apprendimento che faciliti le funzioni di acquisizione cognitiva: occorre capire perché lo studente non ce la fa e attraverso un apprendimento consapevole possa attivare strategie che combattono la paura di sbagliare. Occorre allearsi allo studente non all’errore. A tale proposito la valutazione, a seconda dei vari ordini di scuola, acquista un significato preciso. I miei ragazzi stanno superando egregiamente la verifica più importante che abbiano mai visto: saper affrontare con responsabilità gli imprevisti che la vita presenta».

A emergenza finita quale buona pratica, frutto di questa esperienza, si potrà mantenere?
«La scuola rivoluzionaria è la scuola che insegna a risolvere problemi nuovi. Occorre accogliere l’esperienza che stiamo vivendo per ripensare come adattare la didattica alla tecnologia, per l’istruzione del futuro in un’ottica inclusiva, dove la priorità sia pensare ad una scuola che possa rappresentare e rimanere il nucleo essenziale e il percorso inevitabile per il pieno sviluppo dell’individuo, attraverso la ricerca della morale, dell’estetica e della bellezza, per il raggiungimento della migliore qualità della vita».

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Pubblicato il 15 Maggio 2020
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