L’Italia riapre, la Svizzera resta chiusa. Le aree di confine aspettano il 3 giugno
Il presidente dell'Associazione italiana Comuni di frontiera Massimo Mastromarino auspica più chiarezza su una fase di grande importanza per le economie del Varesotto e del Comasco
Dal 3 giugno l’Italia riapre i suoi confini ai paesi dell’Unione europea e dell’area Schengen, Svizzera compresa. Da parte sua la Confederazione ha comunicato che la data della riapertura dei confini con l’Italia non è ancora stata decisa, ma di sicuro non sarà il 3 giugno.
Una situazione che crea grandi aspettative e altrettante incertezze nell’area di confine tra Varese, Como e il Canton Ticino.
In teoria, infatti, da mercoledì gli svizzeri posso venire liberamente in Italia, senza controlli in uscita. Ma cosa succederà quando varcheranno di nuovo la frontiera per rientrare in patria? Dovranno presentare un certificato medico o compilare un questionario, come è stato ipotizzato nei giorni scorsi? Potranno fare la spesa in Italia?
Sono domande a cui, a tre giorni dalla riapertura delle frontiere italiane, le autorità elvetiche non hanno ancora dato risposta, e che sono attese con trepidazione di qua e di là dal confine, in un’area dove le economie sono fortemente interconnesse.
A sentire particolarmente il peso di questa incertezza sono sicuramente commercianti, addetti ai servizi e alla ristorazione delle aree italiane di confine, dove una quota rilevante dell’economia dipende proprio dalla clientela svizzera.
«A Lavena Ponte Tresa in particolare questa quota si aggira sull’80% del fatturato delle attività locali – spiega il sindaco Massimo Mastromarino, che è anche presidente dell’Associazione italiana Comuni di frontiera – e dunque l’attesa è molto alta, ma in questo momento la situazione è ancora poco chiara. Ad esempio nei giorni scorsi si è sentito che resta in vigore la multa di 100 franchi per chi fa la spesa in Italia e rientra in Svizzera. Ma se uno viene in Italia per andare al ristorante o dal parrucchiere? Credo sia indispensabile, soprattutto per le nostre zone di confine che Italia e Svizzera intensifichino il dialogo e individuino protocolli per evitare che ad andarci di mezzo siano i cittadini».
Ancora pochi giorni fa la Confederazione sconsigliava i viaggi in Italia fino a quando i confini elvetici non saranno riaperti, ma nella zona di confine spesso si tratta di percorrere solo poche centinaia di metri per andare a fare la spesa nei negozi del Varesotto o del Comasco dove i prezzi sono più bassi.
«Speriamo che in questa fase di passaggio prevalga il buonsenso – aggiunge Mastromarino – D’altronde in una zona come la nostra dove ogni giorno 40mila persone passano la frontiera per andare a lavorare in Svizzera credo che il problema dei contagi non si ponga più e non si può mettere questo tema davanti i bisogni delle persone».
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