“Cancellare gli interventi chirurgici è stato un bene: il virus aumenta la mortalità”

Lo afferma lo studio internazionale pubblicato su Lancet. Tra i firmatari Salomone di Saverio, primario della Chirurgia clinica di Varese che ora chiede di migliorare la sicurezza dei percorsi chirurgici

pubblicazione lancet - primario chirurgia varese

( nella foto  da sinistra: Francesco Pata- Salomone Di Saverio e Gaetano Gallo)

«A livello globale si è calcolato che 28.4 milioni di interventi chirurgici programmati saranno cancellati a causa dell’interruzione dei servizi dovuto al COVID-19. I nostri dati suggeriscono che è stata una decisione corretta quella di postporre gli interventi nel momento in cui i pazienti erano esposti al rischio di essere infettati dal coronavirus in ospedale».

d affermarlo è Salomone Di Saverio, Direttore f.f. della Chirurgia I dell’Ospedale di Varese, tra i firmatari di un importante studio pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Lancet. Il chirurgo varesino ha partecipato, insieme ai colleghi italiani Francesco Pata, Gaetano Gallo, a uno studio che che dimostra come i pazienti con infezione da coronavirus presentino dei risultati postoperatori peggiori di quanto ci si aspetterebbe da pazienti con caratteristiche simili, ma non infetti.

Il Covid19, quindi, rende ancora più fragili le persone che si sottopongono a un’operazione aumentando la possibilità di morte postoperatoria: i tassi di mortalità si avvicinano a quelli dei pazienti più critici che sono stati ricoverati nelle terapie intensive dopo aver contratto il virus nella comunità.

I ricercatori del un gruppo internazionale COVIDSurg, coordinato dall’Unità di ricerca sulla Chirurgia Globale (NIHR) dell’Università di Birmingham, hanno esaminato i dati di 1.128 pazienti da 235 ospedali in 24 nazioni, prevalentemente dall’Europa, ma anche dell’Africa, dell’Asia e del Nord America.

Nello studio, la mortalità totale postoperatoria a 30 giorni è risultata del 23.8%. Un tasso di mortalità elevato in maniera sproporzionata in tutti i sottogruppi, inclusa la chirurgia programmata (18,9%), la chirurgia d’emergenza (25,6%), gli interventi di chirurgia minore come l’appendicectomia o gli interventi per ernia (16.3%) e la chirurgia maggiore come la chirurgia dell’anca o la chirurgia per cancro del colon (26.9%).

La mortalità è risultata più alta negli uomini (28,4%) rispetto alle donne (18,2%) e in pazienti con età pari o superiore ai 70 anni (33,7%) rispetto ai pazienti al di sotto dei 70 (13,9%). In aggiunta all’età e al sesso, fattori di rischio di mortalità nel postoperatorio includevano preesistenti problemi di salute, l’essere sottoposti a chirurgia oncologica o a chirurgia maggiore, e gli interventi in urgenza.

Francesco Pata, chirurgo presso l’ospedale Nicola Giannettasio di Corigliano-Rossano (CS), nel reparto diretto dal dott. Guglielmo Guzzo,  e uno dei coautori dello studio, commenta: «L’Italia è stata la seconda nazione per numero di pazienti reclutati nello studio. Per pazienti sottoposti a chirurgia minore o elettiva ci saremmo normalmente aspettati una mortalità al di sotto dell’1%, ma il nostro studio suggerisce che nei pazienti affetti dal SARS-CoV-2 questi tassi di mortalità sono molto più alti, sia nella chirurgia minore (16.3%) che nella chirurgia programmata (18.9%). Questi tassi di mortalità, infatti, sono più alti anche dei tassi riportati per pazienti ad alto rischio prima della pandemia; per esempio, nel 2019 lo studio britannico sulla laparotomia in emergenza (NELA) riportava una mortalità a 30 gg del 16,9 % pazienti ad alto rischio, e un precedente studio in 58 nazioni riportava una mortalità a 30 giorni del 14,9% in pazienti che andavano incontro a chirurgia d’urgenza a rischio elevato».

I pazienti sottoposti a chirurgia sono un gruppo vulnerabile al rischio di esposizione al SARS-CoV-2 e sono particolarmente suscettibili alle complicanze polmonari, dovute alla risposta infiammatoria e immunosoppressiva della chirurgia e della ventilazione meccanica. Lo studio ha rilevato che complessivamente, nei primi 30 giorni dopo la chirurgia, il 51% dei pazienti ha sviluppato una polmonite, una sindrome da distress respiratorio o a richiesto a richiesto la necessità di un supporto respiratorio non previsto. Questo potrebbe spiegare la mortalità elevata, dal momento che la maggior parte (81,7%) dei pazienti deceduti ha avuto delle complicanze polmonari.

Salomone Di Saverio conclude: «C’è adesso un urgente bisogno di investimenti, da parte del governo e degli organismi preposti, per rendere prioritaria la sicurezza del paziente nel momento in cui gli interventi chirurgici verranno riattivati. Questo include la fornitura di adeguati sistemi di protezione individuale (DPI), la creazione di percorsi rapidi per la diagnosi preoperatoria di infezione da SARS-CoV-2, e la considerazione del ruolo di centri chirurgici dedicati COVID-free».

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Pubblicato il 01 Giugno 2020
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