Tanti auguri Regione Lombardia da un regionalista convinto

Giuseppe Adamoli racconta gli sviluppi della Regione Lombardia. "C'è tanto da fare e dovremo rimettere mano alle competenze tra Stato e Regioni. Sono molto critico con Fontana e Bassetti, Guzzetti e il primo Formigoni erano dei giganti rispetto a oggi"

palazzo regione lombardia

«I treni, la sanità, l’urbanistica, la formazione professionale. Insomma una buona parte delle questioni centrali della nostra vita di ogni giorno dipendono dalla Regione. Sono passati 50 anni dalla sua costituzione e questa istituzione attraversa ancora una fase delicata».

Lo dice un regionalista e autonomista convintoUna voce storica, che ha lasciato un segno importante nell’ente regionale come Giuseppe Adamoli. Una carriera politica prestigiosa capace di superare anche lo sconquasso generato da Mani pulite nel 1992. È sua la firma sullo Statuto della Lombardia, così come la prima legge sull’urbanistica.

Lui è un fiume in piena perché ancora oggi che non ha alcun incarico politico o amministrativo è molto seguito e ascoltato.

Giuseppe Adamoli

«Sono stato eletto consigliere regionale nel 1980 dopo aver fatto il sindaco di Vedano Olona e il segretario provinciale della D.C. Assessore ai lavori pubblici nell’89/90 e da qui nasce la legge Adamoli sulle ristrutturazioni. Nel 1992 capogruppo della Democrazia Cristiana quando era il partito guida ed ero stato designato per la Presidenza della Regione. Poi con il terremoto di Mani pulite è saltato tutto. Nel 2000 sono  rientrato prendendo tantissimi voti malgrado il Partito Popolare per cui mi presentavo rappresentava poco più dell’un percento. Sono stato nell’ufficio di presidenza con Fontana. Nel 2006 volevano che andassi in Parlamento con la proposta del terzo posto alla Camera e al Senato. Ascoltai Martinazzoli e rifiutai. Nel 2007 fui votato all’unanimità come presidente della Commissione Statuto e dopo due esperienze fallimentari della maggioranza riuscii a far approvare il più importante atto per la Regione».

Adamoli, sono passati 50 anni dalla nascita della Regione Lombardia, cosa è cambiato?

«Quello che è cambiato di più è legato alla riforma del titolo V della Costituzione del 2001. Le cose da allora sono peggiorate perché la Regione con quella riforma ha acquisito tante competenze. Si è ribaltato il quadro istituzionale e tutte le funzioni sono diventate della regione con alcune eccezioni. Questo ha portato a pasticci e alla decadenza che continuiamo a vedere quando invece erano in ascesa. Ci sono delle opere di carattere interregionali che sono competenza statale e che oggi richiedono l’assenso di tutte le regioni interessate. Troppe funzioni concorrenti sia dello Stato che delle regioni. La sanità è un esempio preciso. Nel caso delle epidemie è esemplare e non può essere della regione il potere».

Tocca un argomento caldo… la sanità.

«Non può esserci una sanità nazionale, perché occorre che ci siano competenze territoriali. La regione deve continuare a esercitare il potere locale, ma la strategia deve essere dello Stato. I costi standard devono essere dello Stato, così come l’allocazione dei fondi. La responsabilità dell’esercizio invece deve essere regionale perché non è pensabile che questo sia gestito da funzionari nazionali ministeriali senza volto.

Al primo scoppio della pandemia la gente si domandava cosa facessero le regioni. I cittadini erano favorevoli alla dimensione nazionale. Poi la cosa è cambiata e anche se riconosciuti gli errori il giudizio sull’operato delle regioni è mutato perché il confronto tra esperienze diverse è stato molto positivo».

Perché bisognerebbe essere orgogliosi delle regioni?

«La Regione, al di là della sanità, ha competenze importanti in tanti settori strategici. Le persone non lo sanno perché molte di queste non hanno una corresponsione in bilancio. Un caso esemplare ci fu nel 1988 e riguarda l’approvazione del Piano regolatore di Malpensa. Ero relatore in consiglio regionale e noi riducemmo del 34 percento il sedime aeroportuale. A livello del bilancio regionale non c’era una lira, ma era nostra competenza decidere le strategie. Non è una cosa da poco perché così facendo salvammo tanta parte del territorio intorno allo scalo. Tutta l’urbanistica si basa su una legge regionale che regola i pgt dei comuni. Noi facemmo una legge quando ancora non ce n’era una nazionale».

Come è percepita oggi la Regione?

«Oggi non c’è una buona comunicazione regionale e ogni provincia va da sola. Il tg regionale o l’inserto del Corriere parlano di cose locali. C’è una sottovalutazione del ruolo della Regione Lombardia e le persone non conoscono le vere funzioni del livello locale tranne la sanità. La prima cosa è far conoscere le funzioni.  Nella nostra vita ci sono esempi concreti come i trasporti, la sanità, l’urbanistica, la formazione professionale».

Resta il fatto che si discute ancora oggi di autonomia. Ha un senso?

«Io ho dato un giudizio negativo sul referendum proposto dall’allora presidente Maroni, perché si potevano avere le stesse cose in altri modi, così come ha fatto l’Emilia Romagna. Ma una volta che è stato regolarmente  indetto ho votato si all’autonomia. Questo al di là delle tante cose che diceva Maroni e che non stavano né in cielo né in terra. Hanno fatto propaganda e basta, ma gli obiettivi erano giusti. Ora tutto va rivisto anche sulla base dell’esperienza sanitaria. Mi auguro che non appena sia possibile si riveda la relazione tra Stato e regioni togliendo tutte le materie concorrenti».

Qual è la sua posizione oggi?

«Sono regionalista e autonomista convinto. C’è molto da fare. Oggi sono molto critico con quanto sta facendo Fontana. Si parla male di Formigoni che è stato un grande presidente nella prima e seconda legislatura. Poi doveva lasciare nel 2010 perché da lì in poi ha fatto disastri e basta».

La chiacchierata con Adamoli potrebbe continuare a lungo. «Potrei parlare per due giorni interi e senza alcuna malinconia per la Lombardia vorrei  rivedere quei periodi d’oro con Bassetti e Guzzetti».

Marco Giovannelli
marco@varesenews.it

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Pubblicato il 07 Luglio 2020
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