I soldi dell’Europa scatenano gli appetiti della sanità privata

L'accordo definitivo era già pronto ma con un precedente che i sindacati di categoria definiscono «pericoloso» le controparti datoriali Aris e Aiop si sono sfilate dal tavolo delle trattative. E dopo 14 anni i lavoratori sono ancora senza contratto

Sono quattordici anni che i lavoratori della sanità privata attendono il rinnovo del contratto. Quest’anno però, dopo la stagione degli eroi, sembrava quello buono. L’intesa tra le parti sociali era già scritta, nero su bianco. Il ministero della Salute e la Conferenza delle regioni erano disponibili a finanziare il 50% del costo del personale, accollandosi gran parte degli oneri derivanti dal rinnovo, ma ad un passo dalla firma definitiva le controparti datoriali da Aris (Associazione religiosa residenze socio sanitarie) e Aiop (Associazione italiana ospedalità privata) fanno saltare il banco.
«Non stiamo parlando di cooperative sociali che fanno fatica ad arrivare a fine mese – spiega Gianna Moretto segretario provinciale della Fp Cgil – ma di signori che in questi anni hanno fatto guadagni stellari e, nonostante l’aiuto delle regioni nel sostenere i costi di questo rinnovo, si permettono di non firmare il contratto definitivo».

Dietro questo rifiuto ci potrebbero essere dunque ragioni legate ai fondi europei in arrivo per sostenere l’economia italiana e rimettere in sesto il comparto della sanità. Tra Mes, Recovery Fund, investimenti della BceSure (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency, un fondo che supporta le casse integrazioni europee) e linee di credito Bei (Banca europea per gli investimenti) dovrebbero arrivare nelle casse dello Stato italiano almeno 500 miliardi di euro. Una montagna di soldi che, secondo il sindacato di categoria, avrebbe ingolosito le aziende della sanità privata.
«È Aris, in particolare, che sta creando il problema – dice Maria Paola Pasquarelli  della segreteria Fp Cisl dei Laghi – Sono loro che si sono messi di traverso con un’azione che non ha precedenti nella storia dell’Italia repubblicana. Hanno battuto i pugni sul tavolo, dopo che era stata raggiunta l’intesa ed erano già state fatte le assemblee con i lavoratori nei luoghi di lavoro. Un precedente pericoloso».

«Per quattordici anni non hanno messo un euro per il contratto dei dipendenti che garantiscono il buon funzionamento delle loro strutture – aggiunge Lorenzo Raia  segretario Fpl Uil – e adesso si sfilano anche dell’intesa. Ricordiamo a tutti che queste strutture private vengono finanziate con soldi pubblici ed è giusto che i cittadini sappiano. Non è ammissibile che vengano finanziate da Regione Lombardia e non siano sottoposte a sanzioni nel caso in cui non rispettino gli accordi presi».

I lavoratori della provincia di Varese interessati a questo rinnovo contrattuale sono oltre mille. Alcuni di loro hanno partecipato al presidio davanti alla Prefettura di Varese per protestare contro la situazione che si è venuta a creare. Giancarlo Ardizzoia, della segreteria della Cgil, per una vita impegnato sul fronte contrattuale della sanità privata, non sta nemmeno a contarli i presidi e le proteste di questi anni . «C’è una partita economica che arriva da Bruxelles e viene giocata sulla pelle di questi lavoratori che aspettano da troppo tempo. A questo punto la questione diventa morale».

Gian Mario Bernocchi che lavora da 30 anni per il Gruppo Humanitas, uno dei più grandi della sanità privata in Italia, dopo l’acquisizione nel 2007  della storica Mater Domini, si sente un pò come un figlio di un dio minore. «Siamo lavoratori senza tutele, il contratto della sanità pubblica è già stato rinnovato nel 2016 e si sta preparando a un ulteriore rinnovo – sottolinea il lavoratore -. Non capisco perché Aris abbia preso una posizione a dir poco discutibile per un’associazione datoriale che si definisce cattolica».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 24 Agosto 2020
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