Un romanzo a puntate: “L’Orto fascista” di Ernesto Masina

Da oggi e per prossimi giorni pubblicheremo i capitoli del libro "L'Orto fascista" dello scrittore Ernesto Masina e pubblicato per Macchine Editore

tempo libero generica

Un libro a puntate. Da oggi e per i prossimi dieci giorni pubblicheremo i capitoli del libro “L’Orto fascista” dello scrittore Ernesto Masina e pubblicato per Macchine Editore (che ringraziamo per la concessione). Trovate qui la prefazione del libro che ci accompagnerà in questi giorni estivi, la presentazione dell’autore e i primi capitoli. 

LA PREFAZIONE DEL LIBRO

1943. L’occupazione tedesca è arrivata sino a Breno, paese dell’alta Valcamonica. In occasione dell’inaugurazione dell’ “Orto Fascista”, elevato a simbolo della grandezza del Regime, i piccoli gerarchi di paese si mettono in mostra con la loro ridicola smania di esibizionismo. Nel paese si muovono i personaggi di una tragicommedia: il farmacista incallito donnaiolo; il parroco affetto da satiriasi; il suo coadiutore: un vecchio sant’uomo devoto solo a Dio ed al suo parroco; la maestra compiacente verso i gerarchi fascisti per favorire la carriera del marito; i bambini e tanti altri strani personaggi.

Un gruppo di paesani si uniscono per compiere un attentato: far saltare in aria la vettura che i tedeschi usano nei loro veloci spostamenti tenendo sotto controllo tutta la valle. Vorrebbe essere quasi una goliardata ma purtroppo ci scappa il morto…
La scrittura è leggera e coinvolgente, capace di descrivere efficacemente gli aspetti tragici come quelli più lievi con accenni di commedia leggera che in qualche caso sfiora la pochade. Il finale è sorprendente ed emblematico. Si avverte il recupero di una umanità che si credeva scomparsa ed il presagio della fine della follia nazista.

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LA PRESENTAZIONE DELL’AUTORE 

Dunque, sono nato in Africa, a Bengasi, nel 1935. Pensate, il 2 di Agosto. 44° all’ombra ed il ghibli (per chi non lo sapesse il vento del deserto che si diceva provenisse dalle fucine degli dei). Povera mamma mia. Ma povero anch’io perché per il travaglio (che si considera solo venga sofferto dalle mamme ma che, a mio parere, colpisce anche i piccoli), per il caldo, perché mia mamma era avanti negli anni (una volta a 36 le donne erano considerate vecchie per diventare madri), per chissà che altro motivo, mia madre perse il latte. Nessuna balia possibile in giro, una sola scatola di “Latte Biraghi” dal farmacista di Bengasi ed io….affamato. Il latte venne ordinato prontamente in Italia ma il primo bastimento per la Libia vi sarebbe giunto solo dopo 6 giorni. Finita la scatola del latte in polvere si provò a somministrarmi il latte di cammella. Una schifezza, ma soprattutto difficile da digerire. Attesi l’arrivo del latte in polvere con la somministrazione di acqua zuccherata. Una goduria! Già ero nato lungo, lungo e magro, magro. Senza nutrimento rischiavo di non farcela. Ed invece eccomi qui. Gli anni seguenti? Velocemente: 1937 partenza dalla Libia ed arrivo a Varese dove mio padre, ufficiale dei Carabinieri costituì e comandò il primo Gruppo CC. 1938, di nuovo in Libia e nell’anno successivo precipitosa fuga per lo scoppio della guerra. Ritorno a Varese andando ad abitare in una villetta sita in una strada della periferia, strada a fondo ceco. I miei fratelli, più vecchi di me di 7 e 8 anni non avevano tempo e voglia di tenermi compagnia. Mia madre passava giornate intere o a recitare in ginocchio Rosari su Rosari perché mio padre, partito per la guerra, facesse ritorno sano e salvo, oppure accudendo tre vecchi nonni che vivevano con noi. Altri bambini in quella strada non ce ne erano. Io passavo la giornata sulla mia biciclettina annoiandomi. L’unica cosa bella, che ogni tanto si verificava, era l’incontro con lo scrittore Guido Morselli che, per alleviare la mia tristezza, mi raccontava favole bellissime che io, purtroppo non ricordo più Mi sono rimasti però nella mente quei momenti magici. Si quei due anni passati a Varese voglio solo ricordare che un giorno spinto, appunto dalla noia, e con la voglia di avventura che penso sia insito in ogni bambino di sesso maschile, pensai di andare per il mondo, Uscii con la mia biciclettina fuori dal recinto che si era creato intorno a me e ….andai a vedere cosa ci fosse quando finiva la città.

Mi ritrovarono alla sera ad una ventina di chilometri da Varese, stanco ed affamato. Ma soprattutto deluso: n on avevo visto nulla di interessante. Alla fine del 1940 mio padre tornò dalla guerra salvo ma non sano. Aveva contratto l’ameba e stava malissimo. Dopo qualche mese gli fu assegnato il Comando della Legione Carabinieri di Brescia e quindi tutti ci trasferimmo in Piazza Tebaldo Brusato presso quella Caserma. In quel periodo i bombardamenti erano pressoché giornalieri e quindi noi sfollammo prima a Gussago (In un mitico albergo detto “Dalla sciura Pina”) quindi a Salò, in una sperduta villa in località Campo Verde, ed infine, quando arrivò Mussolini a creare la sua “Repubblica”, a Breno a casa dei nonni materni.

Una piccola digressione: Un giorno Mussolini chiamò mio padre a Salò per comunicazioni urgenti. Mio padre aveva avuto nel 1926 un importante incarico (che non riguardava il fascismo) da parte del Duce e di Vittorio Emanuele terzo (quando scrivo il nome del re mi viene sempre voglia di scriverlo con le iniziali minuscole tanto è il mio disprezzo per quella persona), che poi incontrava una volta al mese per relazionarli. Quindi, anche se poco edificante, Mussolini conosceva bene mio padre (ma questa è un’altra storia che se vorrà le racconterò). Recatosi da lui il Duce gli comunicò che aveva deciso che i CC entrassero a far parte della Milizia Fascista e che quindi lui avrebbe dovuto cambiare grado e modo di vestire. Mio padre rispose che lui era entrato nei Carabinieri con quella divisa e che non accettava di cambiarla. Sarebbe uscito dando le dimissioni.
Mussolini si infuriò e dopo la partenza di mio padre da Salò chiamò il Federale di Brescia incaricandolo di organizzare un attentato e di liquidare mio padre. Solo per caso mio padre si salvò.

A Breno io, finalmente, avevo cominciato a socializzare anche se mi era di grande ostacolo quel dialetto che per me era incomprensibile. Ma in paese rimasi due anni e mi creai quelle amicizie carissime che ancora rimangono anche se il numero degli amici si assottiglia sempre di più. L’età vuole la sua parte. Nel 1944 tornammo a Varese, che è rimasta la mia città di adozione e nella quale tutt’ora vivo.

Non voglio raccontare la mia vita lavorativa che come la mia infanzia è stata altrettanto movimentata. Se raggiungevo un certo successo subito mi stufavo e cercavo nuovi interessi. E’ così che ho girato l’Italia in lungo ed in largo, l’Europa e qualche altro paese in giro per il mondo. Sino a quella mattina, la prima da disoccupato/pensionato quando mi sono trovato davanti al pc con nulla da fare….ed ho cominciato a scrivere. Un’ultima cosa, ritengo simpatica. Alcune volte negli incontri di presentazione dei miei romanzi mi si chiede se non ho avuto esperienze precedenti, nel senso se prima di darmi ai romanzi non avessi scritto nient’altro. Racconto che quando avevo 15 anni avevo perso un carissimo amico caduto durante la scalata del Badile. Era stato così grande il dolore di scrivere (e di pagarlo con i pochi soldi della “paghetta”) un necrologio che fu giudicato bellissimo. Qualche giorno dopo il direttore del giornale locale, amico di mio padre, mi chiese se fossi disposto a scrivere necrologi per persone che non avevano capacità di comporli. Ricordo che nel ’50 in una città come Varese la scolarità era molto bassa. Tantissimi avevano fatto solo la terza elementare, molti la quinta. Fu così che mi misi a scrivere di morti che non conoscevo ma che i parenti mi descrivevano. La ricompensa? Un vssoio di paste, mi ricordo una palla, una maglietta gialla con due righe azzurre, cinque lire…Un giorno mi chiamò un signore, gli avevo scritto il necrologio per la morte di uno zio. Mi trovai con lui in un bar della città dove mi aspettava con degli amici. Mi disse che era morto un loro caro amico, che volevano che scrivessi un necrologio dove si ricordassero le grandi doti del defunto. Gli atti di carità verso i bisognosi soprattutto verso i bambini. La sua presenza costante alle messe giornaliere, la disponibilità ad aiutare tutti. Mi asciarono anche i soldi per pagare la pubblicazione. Il rimanente per me. E così feci.
La mattina dopo tornando da scuola mia mamma mi disse che aveva telefonato il direttore del giornale per pregarmi di andare da lui immediatamente dopo pranzo. Così feci. Il Direttore era persona di grande cultura, un uomo intelligente, allegro. Veramente una persona amabile. Venne a prendermi in portineria con un fare strano. Si vedeva che voleva fare il serio ma che gli scappava da ridere. Nel suo ufficio ci aspettava un redattore, che conoscevo, ed il….morto. Uno incavolatissimo che, se non fosse stato trattenuto, sicuramente mi avrebbe aggredito. Era stato uno scherzo, quasi una punizione perché tutti sapevano che era un mangia.preti, prestava soldi ad usura e aveva un paio di denunce per molestie a minori. La mia carriera giornalistica finì lì. Devo però dire che mantenni la testa alta. A quello che voleva sapere chi fossero stati quelli che mi avevano incaricato non risposi. Mi trincerai dietro il…segreto professionale.

LEGGI I PRIMI CAPITOLI – LEGGI I PRIMI CAPITOLI DELL’ORTO FASCISTA

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Pubblicato il 10 Agosto 2020
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