Dalla crisi usciremo migliori solo se avremo cura della “casa comune”

Dall'enciclica di Papa Francesco alle teorie dell'economia civile: il modello di sviluppo non può prescindere dal rispetto delle persone, dell'ambiente e della sostenibilità

Papa Francesco in una piazza San Pietro deserta

«Da una crisi non si può uscire uguali. O usciamo migliori, o usciamo peggiori. Questa è la nostra opzione. Dopo la crisi, continueremo con questo sistema economico di ingiustizia sociale e di disprezzo per la cura dell’ambiente, del creato, della casa comune? Pensiamoci… se ci prendiamo cura dei beni che il Creatore ci dona, se mettiamo in comune ciò che possediamo in modo che a nessuno manchi, allora davvero potremo ispirare speranza per rigenerare un mondo più sano e più equo». Sono parole pronunciate da Papa Francesco durante la catechesi sulla pandemia che ha tenuto alla biblioteca del Palazzo Apostolico il 26 agosto scorso.

Non spetta certo alla Chiesa dettare un nuovo modello economico, ma le implicazioni etiche e morali indicate dal pontefice nella sua riflessione sono direttamente collegate al cambiamento del modello di sviluppo. È interessante notare come Papa Francesco, fin dall’enciclica Laudato si’, parlando di economia, faccia sempre riferimento al tema della «casa comune» e all’importanza della sua cura per superare i problemi legati alle povertà, alle ingiustizie sociali e alle iniquità.

Sono molti gli economisti, soprattutto quelli che si rifanno all’economia civile, che nelle loro argomentazioni partono proprio dal concetto di «Casa comune» dove ambiente e clima sono parte integrante delle sue fondamenta. Un’integrazione necessaria come spiega lo stesso Papa Francesco perché «l’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale». Un deterioramento che finisce per colpire sempre le classi più povere.

Nel saggio “Verso un’economia integrale“, appena pubblicato da Guerini Next, scritto a quattro mani da Massimo Folador, docente di business ethics alla Liuc Business school, e Giuseppe Buffon, ordinario di storia della Chiesa alla Pontificia università Antonianum di Roma, il primo capitolo è dedicato al significato originario della parola “economia”.

«Oikos-nomos è la parola greca all’origine della nostra parola “economia”. Un insieme di due termini: oikos, casa, e nomos, dal verbo neimen che indica l’azione di chi “distribuisce, gestisce” le risorse con equilibrio, secondo l’ottica del giusto mezzo. Una parola che nel corso dei secoli ha visto evolvere il suo significato e, di conseguenza, i comportamenti che ogni parola ispira e determina. Tanto più quelli che sono all’origine dei principali  problemi, economici e non, dentro ai quali oggi si dibattono la società, l’economia stessa, la persona».

Ritornare alla «Casa comune», secondo Folador e Buffon, vuol dire aprire lo sguardo a una nuova visione dell’economia in grado di integrarsi con l’ambiente, la sostenibilità e la persona. Un nuovo modello dove l’impresa diventa uno strumento fondamentale per lo sviluppo armonico della società.

A proposito della sostenibilità ambientale, padre Giuseppe Buffon – è un frate minore- ricorda che le parole “economia” ed “ecologia” hanno in comune proprio il prefisso «oikos», cioè quella casa, «che la prima è chiamata ad amministrare e la seconda a pensare (da logos, pensiero, studio)».

Gli economisti hanno dimenticato la felicità pubblica

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 15 Settembre 2020
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