Il gioco d’azzardo nel Varesotto crea un buco da 300 milioni di euro
Nel report dell'Agenzia delle Entrate si evidenzia l'aumento delle spese sostenute in provincia. Ma dal lockdown è emersa una speranza. Daniela Capitanucci lo spiega nel suo libro "Perchè il gioco d’azzardo rovina l’Italia”"
Oltre un miliardi di volume d’affari nella sola provincia di Varese. Una raccolta, a livello regionale, di 14,5 miliardi . Sono le cifre da capogiro del gioco d’azzardo rese note dall’Agenzia dei Monopoli del Libro blu 2020.
Varese conferma la sua netta predisposizione per le scommesse con un quindicesimo posto, a livello nazionale, tra le province più attive.
In termini di perdite collettive nel Varesotto, la cifra rasenta i 300 milioni di euro, per la precisione il totale è 291.595.169,4, in netto peggioramento rispetto all’anno precedente quando si raggiunse quota 280.060.021,48 euro.
Le cifre sono denunciate, m ancora una volta, dalla dottoressa Daniele Capitanucci, psicoterapeuta, da oltre vent’anni impegnata nel contrasto del gioco d’azzardo che troppo spesso innesca una deriva patologica. È stata cofondatrice di AND, Azzardo e Nuove Dipendenze, un’associazione che si occupa di promuovere la cultura del gioco sano e soprattutto ha sostenuto campagne di sensibilizzazione a livello sociale e istituzionale, vincendo anche importanti battaglie legislative.
Oggi ha intrapreso la via della scrittura. Insieme al giornalista dell’Avvenire Umberto Folena, pubblica il libro “Perchè il gioco d’azzardo rovina l’Italia”, che riassume la sua lunga attività di informazione, formazione e consulenza in un settore delicato e molto contrastato dati gli elevatissimi interessi in gioco.
«Mi ha convinto questo bravo giornalista con cui condivido un impegno culturale e sociale – spiega Daniela Capitanucci presidente onoraria di AND – Lui voleva scrivere un libro e mi ha chiesto una consulenza scientifica. Ci siamo così ritrovati a creare un prodotto editoriale vero e proprio. Abbiamo incontrato un editore, Edizioni Terra Santa di Milano, che ha davvero creduto nel nostro lavoro. L’editrice, da persona estranea al tema, ci ha dato importanti consigli per arrivare a parlare direttamente al grande pubblico, anche quello che ignora la complessità del mondo del gioco d’azzardo. Sono quindi serena circa la bontà di questo volume che riporta uno sguardo comune».
Il libro si apre con un primo capitolo ricco di date, eventi, esperienze dirette. Un avvio magari scioccante ma frutto di una ricerca certosina del giornalista Folena che è andato a recuperare storie difficili e dolorose a tratti aberranti : « Da vent’anni mi batto contro lo strapotere del gioco d’azzardo senza vedere, ahimè, un’inversione di tendenza. Ormai sono consapevole che si può investire solo sulla cultura e l’informazione. È un argomento che ci riguarda tutti, uomini, donne, giovani di qualsiasi estrazione sociale. Capire che ci si ammala, che è una patologia è difficile».
L’idea che qualcosa si possa davvero fare è nata durante il lockdown: « Con le ricevitorie e le sale gioco chiuse – spiega la dottoressa Capitanucci – il gioco ha frenato. Se si fossero bloccati anche i giochi in tabaccheria si sarebbe davvero avuto uno stop completo. Abbiamo capito che chi è abituato al gioco fisico, al talloncino di carta, al luogo dove spendere i propri soldi, non cercava altre vie per soddisfare la sua smania. Tutta la parte di gioco on line non ha subito quell’impennata che ci attendevamo. Quindi, se si vuole, ci si può fermare, se si riducono le occasioni si contengono i danni. È l’offerta che crea l’occasione».
Il lockdown ha però scoperto situazioni estremamente fragili: « La dipendenza dal gioco crea crisi economiche. Fintanto che si ha un introito, quella difficoltà si contiene. Quando il lockdown ha fatto mancare le entrare, le crisi sono esplose, spesso in modo drammatico. I debiti da gioco sono diventati un abisso dove alcuni si sono persi».
La chiusura di tre mesi del settore scommesse ha dimostrato, secondo la specialista, che lo Stato può fare a meno di quell’incasso, può fare una valutazione seria sui danni sociali connessi che si traducono in spese molto più onerose:«Quanto successo durante la pandemia è solo un esempio e la punta dell’iceberg di costi sociali che la collettività sta pagando perché è stato favorito un business che produce più povertà che ricchezza per la stragrande maggioranza delle persone. Costi questi che potrebbero essere evitati, modificando radicalmente l’offerta di gambling nel territorio come è avvenuto tra marzo e giugno scorsi».
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