Nuovi e vecchi frontalieri, l’accordo fiscale Italia-Svizzera crea una disparità di trattamento

Il commento dei consigli sindacali interregionali tra Italia e Svizzera di Cgil, Cisl, Uil, Savt, Unia, Ocst e Syna. "Un provvedimento il cui obiettivo sembra rivolto solo a fare cassa”

L’incontro bilaterale del 28 settembre scorso tra il presidente della Confederazione Elvetica Simonetta Sommaruga e il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, è stata annunciata un’ipotesi d’intesa su un nuovo sistema fiscale per la tassazione dei lavoratori frontalieri provenienti dall’Italia verso i Cantoni Grigioni, Vallese e Ticino.

«L’accordo, la cui sottoscrizione, nella forma di un trattato internazionale, nell’intento dei Governi è prevista entro fine anno – commentano i sindacati italiani e svizzeri –supererebbe non solo le regole del 1974, bensì si differenzierebbe anche dall’accordo siglato del 2015, mai recepito dal parlamento italiano».
Nelle ore successive all’annuncio i sindacati hanno chiesto un incontro di consultazione per comprenderne i contenuti e richiedere il formale avvio di una consultazione con il Mef a cui il dossier è affidato, confronto puntualmente aperto e che proseguirà nel corso delle prossime settimane; modalità che abbiamo apprezzato e che segna un indiscutibile punto di discontinuità con il passato».

A complicare la situazione e ad aumentare le preoccupazioni espresse nei mesi scorsi c’è anche l’emergenza sanitaria, da un lato limita la possibilità di condividere le posizioni con le lavoratrici e i lavoratori direttamente interessati e dall’altro, alla luce delle pessimistiche previsioni dell’onda lunga del lockdown della primavera scorsa sul sistema delle imprese, ci pone di fronte ad un quadro economico e sociale non facilmente prevedibile, ci inducono ora come allora, a richiedere maggiore cautela ai Governi per tempi e modi attuazione dell’intesa, invitandoli a non porre limiti temporali stringenti in un quadro di grandissima incertezza.

Il sindacato entra nel merito dell’ipotesi e dice di «condividere ovviamente l’importanza di salvaguardare la situazione degli attuali frontalieri, entrati nel mercato del lavoro con regole fiscali ben precise e che, sulla base di queste, hanno impostato la tenuta finanziaria dell’economia familiare. Inoltre queste stesse lavoratrici e lavoratori si ritroveranno alle prese nei prossimi mesi con un’inevitabile crisi occupazionale determinata dagli effetti della pandemia».

Al tempo stesso l’adozione del cosiddetto “doppio binario” che punta a salvaguardare le condizioni del trattamento attuale, rideterminando nuove regole per i “nuovi” a partire dall’adozione della nuova normativa, secondo il sindacati può introdurre alcune potenziali criticità «in ordine al principio costituzionale di eguaglianza tra i lavoratori, ad ulteriori elementi di dumping in un mercato del lavoro, quello elvetico, che ne è già fortemente caratterizzato, anche in virtù di una relazione stretta tra crescita dei salari e riduzione delle tutele e delle protezioni sociali».

Una condizione di concorrenza tra nuovi e vecchi frontalieri che, sempre secondo le organizzazioni sindacali, potrebbe essere mitigata da strumenti di accompagnamento sindacali e fiscali  (aliquote di vantaggio, rimodulazione della franchigia, misure di accompagnamento e tempi di transizione)per ridurre la forbice del reddito che inevitabilmente l’adozione del nuovo sistema determinerà.

«Ci pare inoltre necessario – spiega il sindacato – superare ogni ambiguità sul concetto di “vecchi” frontalieri che, lungi da una definizione puramente anagrafica, rispondono a nostro avviso a coloro i quali sono già in possesso di una propria posizione AVS, anche se pregressa rispetto all’attuale condizione lavorativa».

«Riteniamo che il superamento di un trattato “storico” – conclude il sindacato – non possa essere risolto con provvedimento il cui obiettivo sembra rivolto solo a “fare cassa”, ma meriti un’impostazione più ambiziosa. In tal senso riteniamo che questa possa rappresentare un’occasione per definire il complesso degli aspetti legati al fenomeno del lavoro transfrontaliero, anche in piena attuazione del regolamento UE 883/04 sul coordinamento della sicurezza sociale, in particolare attraverso: la ridefinizione spaziale e temporale del lavoratore frontaliero, anche in virtù della normativa comunitaria ove l’espressione “lavoratore frontaliero” designa qualsiasi  lavoratore occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro, ovvero regolato da accordi bilaterali con l’Unione europea (criterio politico), dove torna in teoria ogni giorno o almeno una volta alla settimana (criterio temporale), anche in relazione ai limiti che la fase pandemica ha messo in evidenza come il massiccio ricorso allo smart working o a forme di telelavoro e che ha richiesto in questi mesi, accordi straordinari tra i due Paesi per la sua regolamentazione. Il superamento del limite mensile per il diritto alla Naspi, la riapertura contestuale del tavolo sullo Statuto dei Lavoratori Frontalieri per il quale le organizzazioni sindacali italiane hanno predisposto ben tre proposte, la rivisitazione delle politiche di cooperazione Interreg (2021-2027) che pongano finalmente al centro la governance transfrontaliera».

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Pubblicato il 21 Ottobre 2020
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  1. Avatar
    Scritto da lenny54

    Come al solito, per non far capire e obbligare i frontalieri a rivolgersi a loro (ai sindacati) per capire le questioni, scritto in politichese!

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